La scena allo Spazio Banterle è cosparsa di terra e vetri rotti, schegge d’anima, lampadari abbandonati illuminano gli angoli, spingendo tutti gli occhi alla superficie del palco, come a ricordare l’assenza di speranza: non potrete alzare lo sguardo da questa materia.
In 4:48 Psychosis, per la pacata regia di Valentina Calvani, Elena Arvigo compare da dietro una tenda nera, senza trucco, con un abito leggero color rosso. Si sporca del terriccio, frantuma i vetri pastandoli, si muove con stanca lentezza guardando negli occhi gli spettatori, ogni elemento non sfugge alla parte attiva del (non)racconto. E in quest’atmosfera desolata si afferma un tiepido senso di raccoglimento intorno a una fatica immensa, quella dell’interprete, che alla sua sovrappone la fatica dell’autrice dannata.
Sarah Kane scrive dal margine e così recita Elena Arvigo, senza piegarsi a nessuna forma di pietosa drammaticità interpreta da quel limbo di perdizione e sgomento. Con sguardo allucinato e assente riscatta la dignità lirica del testo, senza trascurarne alcun passaggio, scegliendo un tono non scontato, vista la sclerotica punteggiatura del copione, e la sua imprevedibile partizione.
Inenarrabile è l’abisso, non può esservi logica nell’assenza, e infatti il monologo si sviluppa per quadri anche dialogati. Un meccanismo che sfrutta tutta la varietà delle voci interiori, o interiorizzate, amalgamandole in un flusso che non si può dire commuova (in senso etimologico: cŭm + movēre); ma anzi pietrifica imperiosamente, ancorando l’attenzione ai movimenti e alle parole dell’attrice. È di questo che si tratta, un flusso di coscienza tragicamente lucido, e al contempo allucinato da una torbida violenza.
Nella traduzione, Barbara Nativi non tradusse “depression” con depressione, bensì con la parola “lucidità”, e credo sia qui il cardine dell’opera, un appello disperatamente consapevole, un’estrema richiesta d’aiuto, e, non ultimo, un vero e proprio manifesto.
Vide le scene un anno dopo il suicidio di Kane, nel 2000 al Royal Court Jerwood Theatre Upstairs di Londra, e oggi bisogna ringraziare Elena Arvigo che con vibrante coraggio e maturità artistica restituisce un capolavoro dolorante, di somma sincerità.
Arianna Lomolino
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