
In “ANGELICAMENTE ANARCHICI” in scena al CARCANO, Michele RIONDINO veste i panni di DON GALLO (drammaturgia Marco ANDREOLI) riprendendo il filo dello spettacolo (“ANGELICAMENTE ANARCHICO”) che lo stesso DON GALLO portò in scena nel 2009.
Una scenografia in prima battuta essenziale si rivela essere generatrice di effetti drammaturgici che danno all’opera coprotagonisti e allestimento scenico, costruendo un paradiso deserto dove DON GALLO incontra il suo alter ego, il suo lato oscuro, che si palesa come icona della gerarchia ecclesiastica; un’ombra incombente uguale e diversa.
Lo scontro dialettico con l’avversario di una vita da un lato e l’urgenza di colmare silenzio e vuoto dall’altro, danno il via al PRETE DI STRADA per cominciare a narrare storie utilizzando alcune delle canzoni di un altro genovese con cui ha condiviso l’attenzione verso gli ultimi e gli emarginati: Fabrizio DE ANDRE’.
Non più quindi, come nello spettacolo di sette anni fa, testimoni in scena ma personaggi evocati dalle canzoni di “FABER”.
Una dichiarazione d’amore per GENOVA e per la sua pancia, quella dei “THIS STREET OFF LIMITS TO ALL ALLIED TROOPS”, dei carruggi e delle sue colline. Una narrazione che dà dignità agli ultimi: persone con alle spalle le vicende di vita più improponibili. Un contesto nel quale trova decoro anche chi uccise la madre per strapparle il cuore o chi ha utilizzato l’ascesa sociale come strumento di vendetta.
Una carrellata finale di immagini che ricorda l’esigenza di marciare sempre “in direzione ostinata e contraria” anticipa il disvelamento di coloro che, da dietro le quinte, hanno dato cornice musicale allo spettacolo: Francesco FORNI, Ilaria GRAZIANO, Remigio FURLAUNT.
RIONDINO ci accompagna in questo percorso di parabole laiche tratte dal “vangelo secondo Fabrizio” dando fisicità e voce a DON GALLO, riproponendone i tratti essenziali negli atteggiamenti e nei “vizi” (vedi l’immancabile sigaro) senza per questo cadere nell’imitazione. Una interpretazione che sta tra devozione ed affetto in cui non mancano note di rimpianto e che lascia il pubblico con la consapevolezza che “ci sono persone che quando ci lasciano, ci lasciano soli”, che abbiamo bisogno di chi sa dare un nome agli ultimi, di uomini che abbattano muri con un abbraccio e di altri che ci mostrino la poesia di un vicolo di puttane.
Roberto De Marchi
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