Frida K, la morte e il suo doppio

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L’ultima settimana di ottobre ha visto il Teatro Libero registrare sold out per il primo spettacolo delle Residenza Urbana Progetto TLLT (Teatro Libero Liberi Teatri): “Frida K” elaborazione drammaturgica di Serena Nardi a partire da testi di Frida Kalho, regia di Serena Nardi, con Sarah Collu e Serena Nardi.

«Tutto esce sempre da se stessi: il sangue, le lacrime, le nuvole, la vita stessa». E a fuoriuscire, appena dentro “l’osservatorio artistico” è proprio la Morte. Fuori dal sipario guarnito di nubi serene, Serena Nardi aleggia impersonificando la presenza ingombrante del necessario processo per esistere: la Morte, appunto, compagna intransigente di una esistenza dilaniata, rotta. Compagna di una donna trapassata.
Una valigia in terra suggerisce l’avvio di un viaggio. Un viaggio che da subito è osteggiato da una cantilena imperante, prepotente.

È la caduta del sipario a far posto a Frida, a una biografia iconica e fatale ricostruita con l’ausilio di tarocchi ospitanti simboli insoliti: ritagli dei quadri dell’artista. Aggrappata a fili di colore, aggrappata alla vita, Sarah Collu da voce e corpo insolenti a una Frida intimamente suturata. La sua impertinenza stilistica abbraccia coerentemente la sua prossemica scenica che trova il suo emblema nello sbattere i piedi per tenersi stretta alla vita.

Sono le parole a chiamare, le immateriali ma gremite parole che si fan forti più di ogni certezza. La colonna, il figlio, il sangue, Diego, io. Dentro e fuori. Le parole rievocano l’assenza dei suoi colori.

È la lotta per la vita, la lotta contro la morte che realizza il compimento dell’annullamento del doppio. La presenza delle due attrici sulla scena, il loro rimbalzarsi pezzi di vita, di racconti, di citazioni e confessioni, di sensazioni finisce con lo sfumare i confini di distinzione generando la fusione della protagonista col suo doppio.

Ad aver spazio nella partitura biografica messa in scena al Libero, è il tratteggiarsi di una monade esistenziale che trova il suo compimento nell’intersezione di due poli intermittenti e contrari che intessono una vita che esce da se stessa, forse si allontana. Così come lontano, conducono gli interventi transmediali delle proiezioni video che animano la scena finale. Le urla disperate di Frida, desiderosa di far ritorno a casa, sono impacciatamente rotte da immagini di ambientazioni messicane della casa museo dell’artista che, come unico effetto, generano un gelido squarcio del pathos.

Alessandra Cutillo

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