“Medvedenko — Ma perché andate sempre vestita di nero?
Maša — Perché sono infelice. Porto il lutto per la mia povera vita.”
Uno degli incipit più famosi della storia del teatro appartiene sicuramente a Il gabbiano (1896) di Anton Čechov.
Una versione moderna è in scena al Teatro Litta dal 3 al 22 febbraio per la regia di Antonio Syxty.
Lo spettacolo è molto valido grazie ad una regia che modella e scolpisce la drammaturgia di Čechov in una giostra dinamica e che non conosce pause: le battute si susseguono a ritmo serrato pur con una fluidità tale da permette allo spettatore di non perdere nulla dei complessi intrecci e scambi tra i personaggi.
Gli attori, attuali dall’abbigliamento all’emotività, regalano una nuova luce al grande classico di Čechov tanto da darci prova visibile della contemporaneità dei personaggi che interpretano e di come le loro passioni anche se esasperate appartengano ad ognuno di noi: lo spettatore diventa di volta in volta figlio, genitore, amante in un turbinio e un crescendo di emozioni così conosciute da non poterne restare indifferenti.
Il gabbiano è forse il testo nel quale il metateatro raggiunge la sua maggiore forza nella poetica cecoviana: i personaggi più che umani sono creature costruite sul senso del teatro e sulla sua caducità. Come il teatro non può essere replicato in quanto vissuto nel suo istante così i personaggi de Il gabbiano vivono consapevoli che la loro esistenza è fragile, momentanea, priva di reali fondamenta. Vengono quindi passati in rassegna i grandi sentimenti umani riletti alla luce del teatro: ed ecco quindi le emozioni che si sfaldano e si agganciano agli attori, ai registi, agli scrittori, ai drammaturghi, agli artisti. La crisi dell’artista diviene dunque automaticamente la crisi dell’uomo mentre l’arte diviene una dannazione come qualsiasi sogno o aspirazione umana.
I personaggi vagano occupando l’intero spazio scenico e ognuno di loro è sempre presente: mura invisibili di incomunicabilità dividono gli attori e anche se vicini appaiono irrimediabilmente lontani, nel tempo come nel pensiero. Konstantin, Nina, Irina non sono altro che marionette consapevoli del ruolo che interpretano, quindi attori di se stessi.
Meravigliosi i confronti a due: il palco diventa un ring dove si affrontano diverse ragioni e diversi credi esistenziali. La musica accompagna lo spettatore e quasi sembra indovinare le sue emozioni, come assecondasse i suoi bisogni: dal raccoglimento alla malinconia, dall’allegria al sospetto.
Bravissimi gli attori: forti, chiari, presenti, emozionati. Riconosciamo subito Trigorini, Nina, Konstantin e allo stesso tempo li perdiamo perché proiezione di quei sentimenti universali che gli attori hanno provato nella loro vita e ci restituiscono, immenso regalo tra le nostre mani, tra una battuta e l’altra.
Un grande Cechov da vedere nel suo dramma più personale in quanto dramma dello scrittore: come non vedere in Trigorin e Kostantin le due diverse età artistiche di Anton Čechov e come non vedere nelle loro frustrazioni e paure le parole del drammaturgo che risuonano così vere da commuovere e farti sollevare dalla sedia.
Uno spettacolo che proprio oggi deve far riflettere sul problema della drammaturgia contemporanea e sulle figure, pur sempre positive e in realtà non così dicotomiche, di Trigorin e Kostantin.
Francesco Annarumma
E’ ormai appurato che i critici non fanno più “critica” agli spettacoli, che risultano così tutti belli, senza quasi eccezioni… Ma in questo caso si arriva davvero al culmine: “Il Gabbiano” di Checov è uno dei testi più belli e alti di sempre, ma questa versione di Sixty, francamente, è lontana mille miglia dall’esserne all’altezza. Parto dai costumi degli attori, totalmente casuali: un Trigorin in dolcevita accanto ad una Masa in vestito estivo, entrambi moderni, fino a quando entra Nina con un vestito anni settanta.
“Il ritmo serrato” di cui sopra si deve essere perso per strada, visto che tra una battuta e l’altra passano treni colmi di noia.
Non c’è alcuna relazione tra gli attori, che non si ascoltano e vagano casualmente sul palco, spostando sedie a casaccio; le “mura indivisibili di incomunicabilità” dovrebbero essere tra i personaggi, non tra gli attori. Una declamazione vuota e continua delle battute, soprattutto da parte delle due attrici protagoniste, la fa da padrona, chiaro e inequivocabile segno di uno scarso e poco approfondito studio del testo, in primis da parte del regista.
Da spettatore allibito non potevo proprio non commentare questo articolo.
Ciao “Spettatore annoiato”,
Sono Francesco l’autore della recensione dello spettacolo.
Non mi trovi d’accordo sul fatto di parlare sempre bene: io scrivo solo di spettacoli che mi sono piaciuti, per scelta non amo parlare male o criticare quello che vedo, leggo o ascolto ma al contrario cerco sempre il meglio (e c’è sempre). Quando non mi piace lo spettacolo, e succede, piuttosto preferisco non scrivere la recensione. Non solo scrivo di teatro ma lo faccio nel mio piccolo e sapendo tutti i sacrifici che sono dietro a uno spettacolo bello o brutto che sia, non mi piace affondare il coltello.
Venendo al nostro Gabbiano: penso che Anton sia uno degli autori teatrali più complessi e più difficili da rappresentare in assoluto. Sono testi che io ho sempre preferito leggere piuttosto che vedere rappresentati.
Posso dirti che il testo mi è arrivato armonioso, coerente, vero, reale. Mi sono commosso almeno tre volte e durante gli applausi finali ho asciugato alcune lacrime così numerose che quasi mi sono vergognato. Per questo ti dico che mi è piaciuto e ho sentito quanto ho sempre amato di questo testo e sentivo che anche gli attori e il regista sapevano benissimo di quanto e di cosa stessero parlando.
Le musiche scelte con cura. I costumi non so ma per quanto mi riguarda sono rimasti in secondo piano.
Sono contento di aver letto il tuo commento e anzi ti ringrazio mi ha fatto piacere confrontarmi con un altro punto di vista.
Un caro saluto.
Francesco
Buongiorno “Spettatore annoiato”, grazie per aver commentato la recensione ed aver aperto un dibattito. Non avendo visto lo spettacolo di persona non posso esprimere un giudizio, so solo che quella sera il nostro redattore Francesco mi mandò un messaggio con scritto “Erano anni che non vedevo uno spettacolo così bello” (e in media ne vede 2 a settimana). Quindi il fatto che a lei non sia piaciuto non significa che ad altri spettatori non possa aver fatto l’effetto opposto. In ogni caso sono sicuro che Francesco, che si occupa di teatro fin da ragazzino, sarà felice di risponderle.
Buongiorno a tutti, anch’io sono andata a vedere questa versione de “Il gabbiano” e sono tristemente d’accordo con “spettatore annoiato”: non credo di averne mai visto una rappresentazione più insignificante e noiosa. Poi ognuno ha la propria opinione e gusti, per carità, ma io non ne consiglio la visione.
Silvana
Oggi finalmente ho avuto il piacere di assistere allo spettacolo
ero molto incuriosita da queste crititiche contrastanti , ma ora ci tengo molto ad esprimere un mio umile parere
lo spettacolo è stato molto intenso e alla scena finale ,quando si è consumata la tragedia , mi sono talmente commossa che ho pianto !
…per quanto riguarda la critica sui costumi e l’allestimento della scena e la preparazione degli attori …beh anche qui non mi trovo per niente in sintonia con “spettatore annoiato ”
Trovo la rielaborazione del regista un lavoro veramente geniale
bellissimo il filmato capovolto (erano forse le anime dei personaggi in un’altra dimensione spazio-temporale ?) e bellissime le musiche scete !