Un dissacrante e feroce Berkoff in scena al Teatro Caboto, diretto dalla pulita regia di Laura Tanzi della compagnia Lyra Teatri.
Kvetch è il termine ebraico per dire “piagnisteo”, ed è di questo che si tratta nelle due ore di pièce, piacevolmente gestite dai toni più cupi fino alle vette più spassose.
L’insofferenza del vivere non è solo manifesta fra i personaggi costretti a convivere in grottesche convenzioni, la forza del testo si rappresenta attraverso i pensieri non palesi dei protagonisti dispiegati in momenti di congelamento, durante i quali è uno a prendere la parola nella fissità del resto.
Il tema dominante è quello della paura, tutta contemporanea, di avere un posto nel mondo che dia sicurezza: che sia quello di casalinga, del marito rappresentate, della suocera poco incline al bon ton, del collega in crisi post separazione, dell’imprenditore sessualmente frustrato.
Gli attori padroneggiano la scena con ordine e solidità interpretativa, gestendo con cura sia l’essenzialità della mise-en-scène, che le variazioni umorali del testo, dalla risata più sentita, durante l’esilarante soliloquio di Al (Daniele Zighetti), alla durezza delle ansie di Donna e Franck (Valentina Guarino e Demetrio Tringlia), dall’impotenza crudamente celata dell’uomo d’affari (Claudio Coco), alle incontenibili esternazioni di una solitaria anzianità (Ana Gàrate).
L’attenzione alle musiche e alle luci ha sempre una consonanza puntuale, in contrasto con l’effetto di disturbo in sottofondo che accompagna i flussi di pensiero dei personaggi – come fossero frequenze interrotte dal fragore delle esistenze, incapaci di una sintonia che sleghi dalla meccanicità delle azioni e delle pulsioni di ciascuno.
Persuasiva la scelta dei costumi: ogni personaggio è in tinta unita, di un colore pastello, che ricorda un po’ il gioco dell’oca. Finiscono per risultare, gli attori, delle pedine, guidati dalla sicura mano della regista, che accompagna i personaggi oltre la quarta parete – e oltre la drammaturgia originale – dando così vita a una fusione fra la realtà del pubblico e la finzione della scena, perchè, come suggerisce Berkoff, e come ben Tanzi ne accoglie il messaggio, siamo tutti degli Kvetch.
Arianna Lomolino
Da Arianna sempre uno sguardo profondo sull’opera e uso di termini che ne colgono l’essenza comunicandola al lettore.Egregia.