Snocciolando involucri e smontando sovrastrutture tutt’altro che inusitate, raramente accade di imbattersi in scioglimenti felici che rivelano l’ambientazione naturale e immaginifica di un componimento. Come se il genius loci di un’opera restasse celato per anni per svelarsi con naturalezza e brutalità rituale in un’ambientazione inedita ma effettivamente vincente perché ideale e veritiera. Macbettu di Alessandro Serra realizza proprio questo: un disvelamento della matrice ambientale dell’opera di Shakespeare.
Posto che riplasmare quanto è già funzionale costituisca atto superbo, la via da seguire resta quella della ricerca del giusto contesto, dell’insediamento del seme nel terreno che si intravede fertile. Ma per riuscirvi, dando vita al miracolo dell’arte, occorre fertilizzare la terra col biologico (in senso etimologico e non mondano). Occorre humus di bìos, non label. È in questa audace impresa che è riuscita la compagnia Teatropersona in scena al Triennale Teatro dell’Arte fino al 28 maggio.
Il palco ospita il noto ma ridotto intreccio tragico shakespeariano, ciò che è inedita è l’immersione nell’àgere. Tutto assume la ritualità naturale di un quotidiano sì immaginifico ma reale grazie alla veridicità delle sinestesie registiche. Macbettu muove in una Barbagia che alza polvere asfissiante, stride a suon metallico di campanacci e tavoli. Il gusto è stridente, il tatto scricchiolante, l’udito visionario, l’olfatto oscuro e la vista sapida.
Un πάντα ῥεῖ nuragico e primordiale oscilla fra rituali zoomorfi e un traudire assordante e spaventoso accompagnati da un canto linguistico che trascende da qualsivoglia comprensione. Ogni parola effettua un lavorio di traghettamento dal remoto al dentro e si affretta col ritmo dell’incedere scenico.
L’infocamento visivo dipinge inquadrature di fratture orizzontali e caravaggesche. Maiali inneggiano alla morte del sonno, il pane si spezza, il male irrompe.
L’ordine è sovvertito.
Totem avanzano nel minimalismo di un cosmo sterminato a ricordare che gli alberi si son evoluti ma gli uomini no.
Alessandra Cutillo
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