Recensione: “Giovinette – Le calciatrici che sfidarono il duce”

giovinette
Foto Roberto Longoni

Tre ragazze ed un pallone

Tre ragazze ed un pallone che decidono di cambiare il corso delle cose, fuoriuscire dal diktat di quegli anni e mettere al centro della scena i loro sogni così concreti, tanto da mettere in fuori gioco una muraglia di preconcetti.

Benvenuti nell’ordito e nella trama di Giovinette – Le calciatrici che sfidarono il duce, in programma oggi, domenica 3 dicembre 2023, per l’ultima data, presso il teatro della Cooperativa, per la regia di Laura Curino, con la collaborazione artistica di Marco Rampoldi

l’adattamento drammaturgico di Domenico Ferrari, per la co-produzione di PEM Habitat Teatrali RARA Produzione, con il sostegno di Fondazione Memoria della Deportazione e della Sezione Anpi Audrey Hepburn. Da non dimenticare il prezioso contributo di Silvia Gandolfi, dell’ufficio stampa dello spettacolo.

Può, una panchina di un parco in Porta Venezia di Milano, diventare l’architrave di una novità? Sì, non solo può, ma riesce a far esplodere sani desideri a vocazione calcistica di Strigaro, Lucchesi, Boccalini, ragazze piene di vita, che nel 1932, quando il fascismo marcava a uomo, provano a smarcarsi con tutta l’efficacia di un bomber scafato e navigato.

Vediamo Strigaro avanzare, smistare per Boccalini, parata di Lucchesi”. E’ Strigaro, un’immensa Rita Pelusio, che col sacro fuoco del racconto, imita la voce stentorea di Nicolò Carosio, l’unico radiocronista ai tempi voce di quelle traiettorie.

Il tentativo di imitare i maschietti, conoscono a menadito formazioni e tattiche (come il WM, che allora andava per la maggiore) così diventa un potente detonatore di piccole, ma grandi imprese. Come quella di Lucchesi, un’intensa Federica Fabiani,che si oppone al rigidismo paterno ma che non smette di voler concepirsi come calciatrice. Marta Boccalini, una dirompente Rossana Mola, gioca e prova a lasciare da parte gli inghippi della sorella con un marito sempre nei guai con ambasce politiche, anzi, la tira in mezzo, con l’altra sorella, in questa avventura pallonara.

Osano e continuano ad osare, così, passo dopo passo, ecco prendere vita il Gruppo Femminile calciatrici milanese.  Vestiti di gonna nera e camicetta, in ottemperanza agli organi federali che consentivano di usare un pallone di gomma e non di cuoio e di indossare una gonna e non i pantaloncini, si passano la palla, si coinvolgono e coinvolgono altre ragazze. Non solo, decidono di giocare la partita delle parole, di farsi sentire. Ecco una serie di lettere scritte ai giornali, come alla La Gazzetta Dello Sport, al Guerin Sportivo, al Littoriale. Mentre attendono risposte, il loro mondo della vita scopre la spontaneità delle relazioni che s’intessono, tra il gusto della busecca mangiata insieme e continui allenamenti, dove si divertono a più non posso. E’una continua scoperta anche della validità del corpo, che grazie anche alle intuizioni del dottor Pende, scherzosamente detto “Il ginecologo del duce” fa capire la possibilità di praticare sanamente questo sport senza pericoli per la riproduttività. Quando arrivano le divise bianconere, scherzosamente apostrofate “nere e bianche” dall’interista Strigaro, s’inizia a fare sul serio.

Si realizza anche il sogno della stessa Strigaro di incontrare di persona il suo mito : Meazza, al quale, impacciata ed emozionata, dichiara tutta la sua stima, in occasione di una partita dell’Ambrosiana – Inter, alla quale le ragazze avevano, quasi commosse, assistito.

Dopo un anno di avventure calcistiche, proprio alla vigilia della loro prima partita ufficiale, che avrebbero dovuto giocare contro l’Alessandria, le ragazze sono bruscamente costrette ad arrestarsi per un divieto emanato dal governo fascista. Questo non impedirà la diffusione del calcio femminile in Italia, tornato in auge negli ultimi anni e dove tutto il movimento ha acquisito sempre più credibilità, raggiungendo il professionismo nel luglio 2022. Dunque niente è andato perduto, tutto è stato seminato grazie alla sfrontatezza di queste ragazze, amiche del pallone.

La narrazione è molto godibile ed ironica e trae spunto dal libro redatto da Federica Seneghini, con un saggio di Marco Giani.

Dulcis in fundo, a chiusura dello spettacolo, come per altro, dopo ogni rappresentazione, ecco un simpatico ed edificante confronto tra alcuni esponenti dell’universo sportivo e culturale. Abbiamo apprezzato nell’ultimo spettacolo, la testimonianza di Morena Tartagni, di Predappio, la prima donna italiana a salire su un podio mondiale nel ciclismo femminile, nel 1968. Con la sua incredibile forza ha deliziato il pubblico raccontando della sua carriera, costellata della vittoria di un bronzo, di due argenti mondiali, oltre a dieci titoli nazionali e un record del mondo.

Citando il libro “Volevo fare la corridora” di Gianluca Alzati, che narra la sua vita e le sue avventure sportive, ha raccontato di come è nata la sua passione ciclistica, provando a “volare”, entusiasta, con  una bicicletta da corsa, appoggiata ad un muro, “rubata”, momentaneamente, scoperta, poi, appartenere ad una persona che l’ha poi introdotta nell’entusiasmante mondo del ciclismo.       

Merita particolare attenzione il post spettacolo di giovedì 30 novembre che ha visto la presenza della campionessa mondiale di nuoto paraolimpico Arjola Trimi e  di Claudio Arrigoni, giornalista specializzato del mondo paraolimpico.

La sfida delle giovinette, che non volevano essere definite “signorine” è un vortice di coraggio e volontà sovversiva di cambiare le regole del gioco, solido trampolino di lancio per le future giovani generazioni.

Luca Savarese

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