Recensione: “Il figlio”

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Foto Achille Le Pera

Entrare nella vita di quella che potrebbe essere una famiglia come tante, un’immersione totale che aliena dalla realtà e fa dimenticare di essere, invece, seduti su una poltrona di un teatro. Questo l’effetto che fa “Il figlio” di Florian Zeller diretto da Piero Maccarinelli e in scena al Teatro Franco Parenti. Un’opera che si inserisce come ultimo capitolo nella trilogia dell’autore francese dedicata alla famiglia. Tre episodi a sé stanti che si insinuano nei nuclei famigliari per raccontarne uno spaccato il più possibile accostabile alla vita che può capitarci davanti ogni giorno. In questo caso abbiamo un ragazzo diciasettenne (Nicola), una mamma (Anna), un padre (Piero) e la compagna del papà (Sofia) con un figlio neonato dalla nuova relazione. Una situazione ormai diventata comune in una società che vede sempre più diffuse le famiglie allargate. Non è nemmeno così atipico trovarsi davanti a un caso di depressione adolescenziale e proprio da qui si sviluppa la storia. Nicola soffre, prova a trasferirsi a casa del padre, ma le cose non migliorano, le ombre continuano a non dargli tregua fino al tentativo di un gesto estremo e alla diagnosi di depressione bipolare con pulsioni suicide, disconnessione dalla realtà e crisi ansiogene.

La trama si dirama in un intreccio di dialoghi e confronti famigliari, madre con figlio, padre con figlio, madre con padre, figlio con compagna del padre e così via. Le uniche a non avere vere interazioni sono Anna e Sofia. Ogni confronto colpisce per il suo realismo in una scenografia a comparti pensata da Carlo de Marino che vede da un lato la casa della madre e dall’altra la nuova casa dove il padre si è ricostruito una vita. Tutto scandito con precisione dalle profonde musiche di Antonio di Pofi. La separazione dei genitori pare essere una delle principali cause dei disturbi di Nicola anche se non può essere detto con certezza. Tutti i personaggi riescono a costruire un ponte empatico con il pubblico che può, a modo suo, riconoscersi in alcune delle situazioni che si verificano. Lo scontro generazionale è evidente non solo per le tensioni interne alla famiglia, ma proprio per la distanza che a volte involontariamente si crea tra genitori e figli. In alcuni casi i primi appartengono a una generazione che non sempre riesce a capire che non per forza la depressione debba avere una spiegazione razionale e per questo attribuiscono i disagi di Nicola a una delusione sentimentale. Il giovane da parte sua urla a gran voce il suo dramma senza però riuscire a fare un passo nella direzione dei genitori che provano a tendergli la mano.

Il regista Maccarinelli regala emozioni e ansie in un climax sempre più potente che arriva fino a scene così ricche di tensione e inquietanti da essere degne di una pellicola di Hitchcock. Grandissimo merito va ovviamente a un cast di altissimo livello partendo dai due genitori Cesare Bocci e Galatea Ranzi. Riescono a raccontare in modo differente sia il tentativo di rifarsi una vita dopo la separazione sia il fronteggiare un dolore. Un padre e una madre che fanno fatica ad accettare la malattia del figlio nonostante i consigli dei medici.

Il giovane Giulio Pranno viene meritatamente sommerso dagli applausi del pubblico della Sala Grande del Teatro Franco Parenti. L’attore 26enne riesce benissimo a tornare nei panni di un teenager e, ancora più difficile, a raccontare la depressione. I suoi sbalzi di umore, la facilità con cui viene ferito da una parola o da uno sguardo e anche piccoli dettagli come il mordersi il laccio della felpa o sdraiarsi su sedie poco comode rendono il suo personaggio così reale da sentire il bisogno di parlargli e provare ad aiutarlo. Promossa anche Marta Gastini che interpreta Sofia, la nuova compagna di Piero da cui ha avuto un bimbo. Nonostante sia più giovane mostra una spiccata maturità e in questa storia sembra avere il ruolo di impersonificare il raziocinio. Si trova suo malgrado in una situazione molto delicata, cammina su una lastra di ghiaccio e per questo guadagna la comprensione della platea.

“Il figlio” è un perfetto esempio di teatro contemporaneo che non vuole a tutti i costi intrattenere e strizzare l’occhio al pubblico, anzi è a tratti crudele, dà speranze per poi toglierle, scuote il cuore nel raccontare una realtà che spaventa e che non vorremmo mai affrontare.

Ivan Filannino

1 Comment

  1. La premessa di inquadramento della storia è a mio avviso errata: il padre (bravissimo Cesare Bocci) non si é “ricostruito una vita con la nuova compagna”, ma più correttamente ha distrutto la famiglia che aveva creato, venendo meno ai propri obblighi e agli impegni liberamente assunti, con ciò causando per il proprio edonismo egoistico dolore alla moglie , facendo male alla quale ha fatto male al figlio, di cui distrugge l’equilibrio. Una storia banale, specchio della decadenza della società attuale in cui tutto è permesso in nome del diritto individuale che nega quello degli altri, deprimente quanto la depressione del parimenti bravissimo Giulio Pranno. Mi sono domandato perchè sono andato a vedere questa roba e perchè ci sia gente (Che peraltro lasciava vuota quasi metà della sala) che paga per estendere anche la sera a teatro gli aspetti peggiori della vita contemporanea

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