
Torniamo a Teatro i grazie ad un coro di quattro attori appartenenti alla Generazione dei Millennials.
Attraverso la riscrittura del Tito Andronico di Shakespeare, Francesca Mignemi, Eleonora Paris, Virginia Landi, Francesco Aricò, Diana Bettoja, Federico Gariglio e Valeria Girelli ripercorrono criticamente la tragedia shakesperiana guidando il pubblico all’interno della vicenda.
Da qui nasce Due volte Tito – Sopravvivere alla tragedia e per saperne di più abbiamo contattato tutta la compagnia partendo dalla regista Virginia Landi e alle drammaturghe Francesca Mignemi e Eleonora Paris alle quali abbiamo chiesto qual è stata l’urgenza che le ha spinte nel mettere in scena una riscrittura della tragedia del Tito Andronico di Shakespeare.
Era il 2018, eravamo da poco rientrate dalle vacanze estive ed erano passati circa sei mesi dalle elezioni politiche del 4 marzo che avevano visto l’affermarsi delle destre sovraniste. Tornate a Milano, nella casa in cui ai tempi vivevamo insieme, notammo come sotto l’apparente scorrere inalterato della quotidianità, qualcosa di impalpabile stava cambiando.
Titoli di giornale, slogan politici, hashtag: la lingua di tutti i giorni si stava trasformando e quello che prima era considerato ‘scorretto’ – pensieri discriminatori, razzisti, sessisti – poteva essere pronunciato anche sotto l’ombrellone.
L’impoverimento e la semplificazione del linguaggio sono responsabili della trasformazione del pensiero comune. Concetti complessi tradotti in formule accattivanti e orecchiabili, vengono interiorizzati a livello subliminale, accettati e ripetuti senza coscienza critica fino a dare vita a un pensiero unico.
Un pensiero che divide, che si nutre di un immaginario bellico e violento quali azioni può generare?
La violenza che si consuma tra le pagine del Tito Andronico shakespeariano è la stessa violenza che, in maniera ora visibile ora invisibile, scaturisce dal sistema patriarcale alla base della nostra società. Da ciò nasce l’urgenza di far incontrare l’antica Roma del Tito Andronico con il mondo occidentale a noi contemporaneo.
Oggi sono passati quattro anni da quel settembre del 2018 e molte sono le cose accadute in questo tempo trascorso, come ben sappiamo, eppure l’ironia della sorte o, per meglio dire della storia, che poi tanto ironica non ci sembra nemmeno, vuole che la situazione politica e sociale in cui ci ritroviamo nel novembre del 2022, non sia poi così distante da quella da cui siamo partite.
A Francesco Aricò (attore) abbiamo chiesto se la violenza che vedremo in scena è più fisica o verbale e quale delle due fa più male?
Mi sembra che la scelta registica sia stata quella di evitare in scena la violenza fisica, per non cadere in dei facili stereotipi, ma di evocarla in modo molto intelligente, semplice e immediato.
In questo modo lo spettatore/rice è portato a immaginare, a dare un peso molto personale a quelle parole e a quelle immagini che vi si sovrappongono. È un’esperienza intima e di conseguenza, a mio avviso, più incisiva. Se non altro in questo caso.
Faccio fatica invece a rispondere alla seconda domanda. Nel mio caso, nella mia storia personale proprio, direi che mi ha fatto più male quella verbale. Ma la violenza fisica subita, è stata -passatemi l’espressione- di poco conto.
La violenza verbale si insinua, ti lavora dentro e spesso nemmeno te ne accorgi. Ti modifica, ti sconvolge e ti destabilizza. Capita che non ti dia tregua, mentre il dolore della violenza fisica potrebbe sembrare apparentemente passeggero. Molte volte l’altro/a esercita su di noi (e viceversa) violenza suo malgrado, e il dolore, che non sa valutare- sicuramente non in prima istanza- la buona fede, ci pervade. Figuriamoci quindi quando la scelta è consapevole.
Però ripeto, questa è la mia storia. E nella mia storia non ci sono stupri, non ci sono torture, non ci sono pestaggi, non ci sono agguati.
Questa violenza la mettete in discussione?
A rispondere è nuovamente la drammaturga Eleonora Paris.
La violenza del Tito Andronico di Shakespeare è una violenza sistemica, che pervade e regola i comportamenti di tutti i personaggi della tragedia. Ciò che ci ha colpito è che gli atti violenti che danno inizio alla storia, sono perfettamente integrati nel sistema di valori che regola la società, dai forti echi tribali, del Tito Andronico. Il condottiero, ‘l’uomo forte’, deve ristabilire ordine nel caos con ogni mezzo a sua disposizione e questo è un elemento normale in un sistema patriarcale. Come ci insegna Girard, però, “non si può fare a meno della violenza per porre fine alla violenza, ma è appunto per questo che la violenza è interminabile”.
In Due volte Tito – Sopravvivere alla tragedia ci siamo chieste se fosse possibile e in che modo rinterrompere questa spirale di violenza. Abbiamo notato come l’essere umano, a differenza degli altri animali, sia capace di un’aggravante ulteriore, quella della premeditazione. Il pensiero che anticipa l’atto è già una forma di violenza. Se i miei pensieri sono volti alla violenza, lo saranno anche le mie parole e lo saranno anche le mie azioni. Per mettere fine alla violenza allora, come prima cosa, serve esercitare un pensiero diverso, o forse serve allenare più punti di vista, dato che la violenza è spesso figlia di un pensiero unico che assurge a modello per tutti. Serve mettere in discussione i modelli ereditati e chiedersi quali altri modelli possono venirci in aiuto per ricostruire un mondo al collasso. Heiner Müller ci ricorda che nella catastrofe c’è anche un grande spazio di libertà. È da qui che si può partire: dalla fine di una tragedia quando ormai tutto è distrutto, per costruire un mondo in cui nessun corpo e nessuna persona può essere sacrificata in nome di un’ideale, come quello della patria o dell’onore. È per questo che ha senso mettere a fuoco la violenza che ha generato la distruzione e metterla – e metterci – in discussione.
Questo spettacolo è una denuncia o più un grido che non ha voce?
Diana Bettoja (attrice)
Quello che accade ai personaggi/attori in scena è un percorso di consapevolezza.
Si parte dal racconto del Tito Andronico che pone i personaggi di fronte ad una storia di violenza, una spirale di vendetta che termina nella catastrofe. Le reazioni di fronte a tutto questo sono molteplici: chi rimane disgustato, chi attratto, chi resta indifferente. Ma si è accomunati dalla consapevolezza che queste storie fanno parte di noi, della nostra educazione, della nostra cultura, del nostro quotidiano. Quello che è chiaro è che non troviamo niente di costruttivo, di generativo negli atti violenti. Di fronte a queste immagini ci si chiede ‘Che cosa dobbiamo fare?’ Si sceglie di non voler soccombere e reiterare attraverso il racconto, la trasmissione di questa cultura violenta e patriarcale. Subentra la volontà di riscatto, si mette in discussione qual è il nostro ruolo all’interno della realtà e quindi si denuncia, si sceglie di prendere una posizione nei confronti della violenza, si cercano delle soluzioni, fino ad arrivare alla catarsi dei quattro attori pronti a raccontare una storia diversa, non più schiava dell’eredità dei padri.
Il Mondo è sempre più in crisi e sembra essere senza futuro. Si può Sopravvivere alla tragedia?
Virginia Landi (regista)
Non sarò mai una nichilista, quindi penso non solo che possiamo sopravvivere alla tragedia, ma anche che dobbiamo. Nel Tito Andronico, Shakespeare propone al suo pubblico un finale aperto dove, dopo la distruzione e la morte, esiste di nuovo la vita: sullo sfondo ci sono due bambini, il nipote di Tito e il figlio illegittimo di Tamora e Aronne, saranno loro a tracciare il futuro di Roma. Noi partiamo proprio da questa immagine finale, un’immagine di catastrofe ma con al suo interno un barlume di speranza: un bambino nero, senza nome, unico sopravvissuto alla catastrofe che ha distrutto il mondo che lo ha generato, si muove tra le macerie alla ricerca di un percorso da seguire. I 4 attori e attrici, in scena, si assumono la responsabilità di raccontargli il mondo che lo ha generato per permettergli di scegliere consapevolmente il proprio futuro.
Consapevolezza e responsabilità sono per noi le due parole chiave che ci permettono di “sopravvivere alla tragedia”, alle tragedie: possedere la consapevolezza di ciò che è stato, e assumersi la responsabilità di criticare l’eredità ricevuta. Non rinnegare ma mettere in discussione.
Sopravviviamo alla tragedia muovendoci nello spazio e nel tempo come l’Angelo della Storia di Walter Benjamin: sospinti verso il futuro da un vento inesorabile ma con lo sguardo rivolto al passato.
Siete un gruppo di giovani artisti, in che direzione sta andando il teatro?
Valeria Girelli (attrice)
Il teatro ha capito che non può più essere un momento culturale d’élite: grazie al boom delle serie tv il pubblico è diventato esperto, intelligente, svelto, acuto e a teatro viene davvero coinvolto solo quando vede degli attori che si parlano veramente, che dialogano come si fa nella realtà. Tutti siamo abituati a “scrollare” quando non siamo catturati da ciò che vediamo, e di conseguenza è necessario che il teatro si trasformi, come ha sempre fatto, non dimenticando che nasce e vive per il pubblico.
Dunque la vera sfida per il teatro adesso è continuare ad essere un momento alto di catarsi, fondamentale per l’essere umano, ma avvicinandosi allo spettatore nei modi: eliminando virtuosismi e protagonismo attoriale, in virtù di un parlarsi diretto e, come risultato, più catartico.
Tornando a Due volte Tito – Sopravvivere alla tragedia è uno spettacolo consigliato ad un pubblico di soli giovani ma accompagnati dai genitori?
Federico Gariglio (attore)
No assolutamente.
Due Volte Tito- Sopravvivere alla tragedia è uno spettacolo per tutti, dove viene narrata la storia di Tito Andronico con dei colori a tratti leggeri, a tratti più drammatici. Vi sono all’interno delle scene ovviamente crude e altre più leggere. Penso che sia uno spettacolo che dovrebbero vedere sicuramente i più giovani: una generazione che ha sempre meno speranza, futuro e che quindi necessita di un nuovo inizio; la possibilità di ricominciare da loro, da noi. Ma come dicevo, è uno spettacolo per tutti. Anche e soprattutto per la generazione dei nostri genitori, dei nostri nonni. Due Volte Tito- Sopravvivere alla tragedia spinge ad andare avanti senza dimenticare. Lo dice il titolo stesso. Lancia un messaggio di speranza.
Per concludere chiedo alla drammaturga Francesca Mignemi, vista la violenza in TV, la violenza al telegiornale, la violenza per strada… perché dovrei venire a vedere anche a teatro uno spettacolo che racconta la violenza che mi ruota attorno?
Citando Shakespeare nel Tito Andronico, i nostri occhi sono “sazi di violenza”.
Siamo quotidianamente spettatori delle atrocità del nostro tempo. La violenza scatena in noi le più diverse reazioni. Partecipiamo emotivamente, con empatia, la giudichiamo, ci ricamiamo attorno discorsi politici, ne restiamo disgustati. Capita anche di esserne talmente assuefatti che la diamo per scontata, nemmeno ci tocca più e riusciamo agilmente a volgere lo sguardo altrove, o a chiudere gli occhi.
Per quanto, appunto, “ci ruoti attorno”, non ci siamo mai consapevolmente dentro, riusciamo a tirarcene fuori, ad allontanarla e a guadagnare distanza. Perché è sempre, in qualche modo, “il dolore degli altri” e, come dice Susan Sontag:
“non veniamo totalmente trasformati, possiamo distogliere lo sguardo, voltare pagina, cambiare canale, ma questo non vanifica il valore etico delle immagini da cui siamo assaliti”
Nella nostra quotidianità possiamo mettere distanza. Ed è proprio qui, in questa distanza che, secondo me, si inserisce il teatro e l’esperienza ravvicinata che può offrire. Il teatro è rito collettivo, la sua natura è partecipativa. Contiene in sé la possibilità di trasformare.
Credo che lo spettacolo offra l’occasione di chiederci in che modo, anche noi, nel nostro quotidiano, e in quanto eredi della cultura occidentale, siamo stati, siamo e possiamo essere mandanti di violenza. Di come il germe che la scatena sia spesso piccolo se non invisibile, quasi sempre usato con inconsapevolezza e leggerezza.
Proprio a teatro, paradossalmente, abbiamo la possibilità di uscire dal ruolo di spettatori passivi, dismettere i nostri abiti di pubblico per farci attori, soggetti, problematizzando l’atto del guardare e chiedendoci quale sia il nostro ruolo all’interno della tragedia contemporanea. La domanda che spinge gli attori nel raccontare il mondo del Tito e che ha guidato l’operazione di riscrittura è stata e continua ad essere “Che cosa dobbiamo fare?”
Lo specchio che il teatro offre, può e deve servire ad ampliare, moltiplicare lo sguardo e i punti di vista, includendoci però nell’inquadratura, nella porzione di mondo che viene riflessa.
E dopo le interessanti risposte, ‘cosa dobbiamo fare?” io fossi in voi un giretto a Teatro i lo farei per almeno ‘una’ volta e se poi fossero…
DUE VOLTE TITO
sopravvivere alla tragedia
dal 25 al 28 novembre 2022 – Teatro i
di Francesca Mignemi ed Eleonora Paris
regia Virginia Landi
con Francesco Aricò, Diana Bettoja, Federico Gariglio e Valeria Girelli
sinossi
in un momento storico di forte crisi, Due Volte Tito- Sopravvivere alla tragedia ci obbliga a interrogarci sul nostro futuro: come si porta avanti un processo di crescita, ma anche di rottura con una società fondata su modelli che non ci rappresentano più? Che cosa dobbiamo fare?
La risposta la troviamo nella possibilità di raccontare di nuovo la storia degli Andronici, aprendo domande sulla responsabilità che la nostra generazione deve assumersi per trovare la propria identità e il proprio spazio nel mondo.
Buona serata a teatro
TiTo
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