“Umanità nova”: intervista a Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi

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Domenica 27 ottobre alle 16 e lunedì 28 ottobre alle 20 andrà in scena al Teatro PimOff “Umanità nova. Cronaca di una mancata rivoluzione”.Fabio Pisano, Cristiana Minasi e Giuseppe Carullo, rispettivamente autore, regista e interprete portano le vicende dei Moti di Reggio sul palco del PimOff con uno spettacolo che intende farsi portatore dell’importanza della Storia, della sua conoscenza e della sua corretta trasmissione, per evitare che i fatti si ripetano.

Quello dei Moti di Reggio è un episodio spesso dimenticato rispetto ad altri di quegli anni, come mai avete scelto di raccontarlo?

In effetti è un frammento di storia dimenticata, ma ha il suo fascino e le sue peculiarità. E’ stata la rivolta più lunga della storia dell’Italia repubblicana, è stata una rivolta popolare, nelle istanze e nella partecipazione che, in breve tempo, la destra extraparlamentare si è intestata e ha guidato. Una rivolta non capita dai grandi partiti del tempo, sedata nella repressione prima delle forze dell’ordine e poi dell’esercito. Reggio è uscita dai moti a pezzi. È certo una storia dimenticata ma centrale di quegli anni oltre che fondamentale per un altro episodio poco chiaro, il mancato Golpe Borghese, il quale proprio nei mesi della rivolta anche a Reggio stringeva alleanze con l’aria dell’estrema destra, con la ‘ndrangheta reggina e calabrese.  Per questo abbiamo scelto di darle uno spazio. Siamo i figli di quelli che hanno fatto fattivamente la rivolta ma della rivolta e di quegli anni poco sappiamo, come dice Luis Sepulveda: “Narrare è resistere” e questo nostro lavoro è una forma di resistenza all’oblio della memoria.

Si tratta di un periodo storico pervaso dal sentimento di vendetta e di rivalsa, rivedete dei punti in comune con quello che stiamo vivendo oggi?

Non vediamo punti in comune, di quegli anni intravediamo una forza chiara e dirompente. Forte è l’immagine (che rievochiamo) della forza della gioventù, dei ventenni che, con la loro giovane età, credevano e speravano di potere cambiare il mondo rendendolo migliore di quello dei loro padri, erano impegnati, lottavano. Oggi non diciamo che non ci si impegni nella lotta ma certo in quegli anni la lotta era una necessità chiara, un qualcosa di unico che forse oggi stenta a ripetersi. 

Il teatro civile riesce ancora a sensibilizzare il pubblico? Come deve porsi per non sembrare didascalico?

Il teatro non è mai civile il teatro è sempre teatro o, per dirla meglio, il teatro è sempre politico. Pensiamo che se il teatro è fatto bene nel senso che risponde ai parametri dell’efficacia, non è mai didascalico e ciò certo non può nè deve dipendere dalle tematiche che affronta, ma dalla necessità che lo muove.

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