Andrea, direttore della Compagnia under 35 “Andrea Colombo Teatro” si racconta in un’emozionante dialogo fra impegni, tour e il sogno di riportare i ragazzi a teatro

Cari Amici di ProfAmà,
per questo nostro appuntamento di MilanoTeatri ho deciso di parlarvi di Andrea Colombo, giovane attore e regista nella nostra amata Milano. La scelta odierna è stata dettata dalla voglia di elogiare chi, come lui e i suoi amici, ha il coraggio di assecondare il proprio sogno di bambino, cullarlo e poi donargli l’energia necessaria affinché prenda vita.
Un lungo dialogo che assume tempi e toni che spaziano fra loro, invertendo le pur ragionevoli modalità di domande che si è soliti porre. Ma tutto ha un suo senso, e a darlo, quel senso, è il filo conduttore che si svela (spero -n.d.r.-) poco a poco. Curiosi?!
Buona lettura,
Veronica
Andrea Colombo è un giovane attore e regista originario del milanese (più precisamente, di Buccinasco -n.d.r.-) che, nel 2023, ha fondato la Compagnia “Andrea Colombo Teatro”.
Essa si compone di un gruppo coeso di ragazzi appassionati e tutti under 35, formatosi con il sostegno del Cineteatro San Luigi di Corsico. Andrea, che fa anche parte del Direttivo Artistico, si è formato all’Accademia di Grock.
Da poco, come vedremo, collabora con la direzione artistica del Teatro Della Quattordicesima, il teatro in città che ha appena inaugurato la sua riapertura dopo anni di inattività.
L’intervista
VF: «Ciao Andrea, è un piacere ospitarti a “ProfAmà”, la rubrica di Milanoteatri dedicata al teatro fra “Prof”, i professionisti, e gli “Amà”, gli amatoriali naturalmente.
Il nostro è uno spazio libero aperto dove dialogare fra le due realtà, grazie, anche, alla realtà Gatal (Gruppo Attività Amatoriali della Lombardia) che conosco personalmente.
Mai dimenticando il richiamo costante alla nostra bella realtà meneghina.
Cerchiamo di partire da una da una frase, la prima era stata del compianto Antonio Zanoletti, e da lì lasciamo che le parole, i dettagli, lascino spazio alla magia, cosicché anche chi è al di fuori del ramo teatrale colga un po’ l’essenza di chi lo narra. Orbene, presentazioni fatte, ora…raccontaci un po’ di te, e della tua Compagnia.»
AC: «Grazie! Io sono un attore e da poco ho iniziato come regista. Ma, aspetta, (si ferma un secondo -n.d.r.-): quindi, conosci bene anche Matteo Merini?»
Un po’ spiazzata e piacevolmente sorpresa, mi pare fin da subito che la nostra intervista si sposti su un piano più curioso, basato sulla volontà di interagire veramente con l’altro. E fa comprendere appieno il legame che il teatro traccia come piccoli filamenti.
Quelli che si chiamano, forse in modo semplice (e di semplicità, come autenticità, nella vita come nel Teatro, v’è sempre più bisogno -n.d.r-), connessioni, o (nostalgica, Veronica -n.d.r-) “legami” fra cose e persone. (Non è pubblicità occulta, la parola esiste ancora, eh! -n.d.r.-).
E, credetemi, non è assolutamente così scontato (a teatro, talvolta, è noto il rischio di sfiorare l’autoreferenzialità. -n.d.r.-).
Il bisogno di sognare
VF: «Non stento a crederlo! Visionando la Vostra presentazione ho potuto curiosare nel Vostro teatro e nella tipologia dei vostri spettacoli. Ho letteralmente adorato “Natalemania”! Ammetto di essere un po’ di parte, in quanto grande estimatrice del Natale, l’atmosfera, l’idea…
E non solo per l’aspetto più consumistico. Mi piace pensare esista un giorno in cui rifugiarsi, coccolarsi, forse illudendosi anche che almeno una volta l’anno ci si impegni ad essere più buoni.
Poi, purtroppo lo sappiamo un po’ tutti che senza falsi moralismi, che ci si perde via però, ecco, ci piace –abbiamo bisogno di- sognare. Anche solo per poco.»
AC: «Si, anche se poi ci si arriva sfiniti a volte e a volte ci si pente, ma è una riflessione che facciamo anche nel nostro spettacolo. I due personaggi sono bloccati in una forma di incomunicabilità dove uno è amante del Natale, e l’altro all’opposto. Uno è perso fra celluloide e film dell’infanzia e l’altro vuole farlo tornare alla realtà. Però poi si accorgono che è proprio in quel passato, in ciò che cela e rappresenta, che sta la chiave per ritrovarsi.»
Andrea e l’infanzia a teatro col papà
VF: «Incomunicabilità, che è anche grande problema del nostro tempo. Ad ogni modo, mi è piaciuta la fantastica sinergia fra gli attori. Ho apprezzato anche la scelta di tematiche delicate come le ragioni che si nascondono dietro all’amore per questa festività.
O, al contrario, come altre spingano a non reggerlo. Guardandovi, pare che maggiore la ricerca di realtà è arbitraria, maggiore è la conseguente finzione con una parte di noi.
Come se per tutte e due cercassero un rifugio. Questo è ciò che ho recepito io, magari errando.»
AC: «No no, è assolutamente assolutamente così. Inoltre, sono molto fiero di quello spettacolo in particolare perché è una nostra esclusiva. Mi vien da dire che ce l’abbiamo solo noi!
Sono felice anche di questo e, naturalmente, di quello che hai detto.»
Questioni di scena, divani e questioni di interpretazioni
VF: «Una cosa forse curiosa: in tutte le immagini e i video che ho potuto vedere, ho notato la presenza di un divano. Un elemento che ricorre ed è sempre al centro.
C’è una ragione particolare per questa centralità o è solo congegnale all’ambientazione?»
AC: «In questo caso c’è sempre perché tutti e tre i miei spettacoli in repertorio sono ambientati in un appartamento.
In questo senso, è funzionale. Poi, chiaramente quest’anno stiamo producendo di altri che poi ti dirò!»
VF: «Perfetto. Facendo a questo punto un passo indietro, Andrea, vorrei a questo punto porti la domanda che di solito faccio più ai miei ospiti.
Quesito tanto più semplice quanto complesso, allo stesso tempo.
Cos’è per te e per la Compagnia il teatro? Che tipo di esso volete portare in scena? E che rapporto hai/avete con esso?»
AC: «Diciamo che io mi sono avvicinato al teatro grazie a mio padre, che è attore a sua volta.
Ma lui lo fa a livello amatoriale, diciamo che lo fa più per hobby.
Tra l’altro, è in una compagnia storicamente legata al GATaL, quella degli Adulti di Buccinasco.»
(Annuisco e me ne rallegro. È emozionante quando la passione si trasmette e trova anche il talento per farla spiccare-n.d.r.-)
Tutto si apre e tutto si chiude nel teatro
VF: «Certo. Tutto si apre e tutto si chiude nel teatro, potremmo dire.»
È evidente l’affetto che lega Colombo al teatro, e soprattutto al padre che glielo ha trasmesso
Riprende:
AC: «Fin da fin da bambino sono sempre sono sempre andato a vederlo. Forse la passione c’era già allora, ed è emersa. Poi, non si sa se poi sarebbe uscita lo stesso.
Sta di fatto che, grazie a lui e al fatto che andavo sempre a vederlo, e che a cinque anni, ricordo bene, guadando i miei genitori, ho esclamato: “io, Andrea, da grande voglio fare l’attore”.
E, da allora, non ho mai cambiato idea.»
VF: «Insomma, quando si respira teatro sicuramente una parte di quell’aria buona, la fai tua.»
AC: «Esattamente, e da lì sono partito a fare corsi. In qualche modo, ho messo in piedi un rapporto tra me e il teatro che mi rendo conto essere come una droga.
Ogni volta che entro in un teatro, che sia nuovo o un teatro dove entro tutti i giorni, come per esempio quelli dove lavoro e collaboro, percepisco una sensazione di pace.
Una scappatoia dal mondo, non saprei come altro potertelo dire.
Intendo che mi sento proprio un Andrea sicuro, protetto in quell’ambiente lì.
Cominciare a farne un lavoro, nonostante tutte le difficoltà, mi rende contento.
Come saprai, non è facile all’inizio, e i guadagni sono un po’ quello che sono. Solo per fare un esempio. Ma mi sento come se quell’ambiente mi appartenesse.»
VF: «E come se tu appartenessi ad esso, di rimando.»
Andrea Colombo e il teatro come casa
AC: «Si, ti direi che è un rapporto di passione. O, meglio, passione e amore. Secondo me.»
VF: « Indiscusso. Nel lavoro, come nello spazio personale, si percepiscono l’amore e la passione che vengono meno. Infatti, a teatro ci sono entrambi.»
AC: «Assolutamente sì»
VF: «Potremmo azzardare che per te il teatro è anche una forma anche di casa?»
AC: Sì, sa di casa per me. Lo vedo come tale anche perché, nonostante ci abbia a che fare da così tanti anni, non mi sono mai stancato.
Non c’è mai stata una volta dove ho detto di non aver voglia di fare.
Mi è accaduto con molti lavori che ho fatto di altro nella mia vita. Nonostante mi piacessero, per me questo è l’unico lavoro. Oggi ho voglia, come tutti gli altri giorni.
Quindi sì, lo vedo anche come una casa. Soprattutto fra spazi e palchi dove sono cresciuto.»
VF: «Grazie per la bella riflessione su ciò che il teatro è per te. Ora, vorresti spiegare che tipo di spettacoli portate in scena? E che messaggio volete dare a livello di strumento, comunicazione?»
AC: «Quello che un po’ mi vien da dire, cioè che credo in realtà maggiormente manchi nei gruppi nascenti di teatro, prevalentemente di giovani magari appena usciti da accademie, e i bandi che buttano fuori, è il teatro popolare. Quello che vai a vedere per fare un sabato sera o domenica pomeriggio per staccare e rilassarti. Come hai detto tu prima, per essere un po’ coccolato, diciamo, visto che per me manca nelle compagnie giovani. Ed è quello che voglio portare io: noi facciamo principalmente commedie brillanti. E anche degli show per famiglie e bambini.
Per un teatro popolare
Perciò, in questo senso sta un po’ ciò che intendo io per teatro popolare, dove vai per ridere e che per una domenica o un sabato regala un’esperienza diversa. Stiamo puntando molto su questo perché molti lavorano tanto al teatro contemporaneo, di ricerca, etc.
Ma spesso nelle compagnie giovani manca, ed è ciò che sto portando avanti io. Ovvero che il teatro non serve solo a fare ricerca, quindi a fare a ricercare un po’ lo studio del corpo. Sia chiaro, è anche quello, io stesso l’ho studiato e lo studio tuttora. Tuttavia, voglio portare uno spettacolo in cui far passare una serata o un pomeriggio anche a chi magari vuole un attimo rallentare dalla frenesia della vita di tutti i giorni.»
VF: «Una forma di evasione “buona”, di nuovo, ci sente un po’ in un rifugio. Torna anche un po’ il concetto di casa, se ci pensi. In qualche modo è come se volessi accogliere nella tua casa degli ospiti, o comunque condividervi un momento che possa essere un po’ di svago. Come quando, nel nostro quotidiano, sentiamo il bisogno uno spazio dove metterci comodi in casa e rilassarci fra chiacchiere e risate.
AC: «Hai colto il punto, per me è anche questo»
VF: «Secondo te, in riferimento il teatro di sperimentazione, ricercando costantemente qualcosa, ha perso qualcosa di se stesso? Si è in qualche modo snaturato, allontanato dal pubblico?»
Andrea e il pubblico
«Credi a tal riguardo che il pubblico sia attento o sia più di quelli che va a vivere meno l’esperienza, quanto piuttosto a vedere le “experience“? Faccio un parallismo con l’arte e ad esempio alla mostra di Van Gogh. Buona parte dei visitatori andava più per dire di averla vista, che realmente osservata e compresa. (A ragion di tag, per intenderci.n.d.r.-) Oppure credi che il pubblico stesso comprenda, si interroghi ove ciò non accade, di quanto assiste in scena?»
AC: «Io credo maggiormente il tipo di pubblico che si pone domande e presta attenzione. Io stesso conosco tantissimi colleghi e compagni che ho avuto anche nel mio corso accademico prevalentemente, e molti di questi attori hanno molto pubblico. E questo va vedere anche quel filone perché è interessato quel tipo di ricerca, che di per sé è molto difficile anche da capire e guardare. »
Fra esperienza ed experience
Fra un boato dei lavori in corso in sottofondo nei pressi del mio ufficio e un altro, Andrea riprende:
«Dicevo… Ci sta che magari ci possa essere qualche eccezione dove quella persona si presenta con la voglia di vedere qualcosa di diverso, e cerca di capire, di vedere l’esperienza, ma realmente poi non torna a casa con internamente qualcosa di concreto. Riconosce il valore, ma non non porta molto con sé, a livello di nuova cognizione. Ma per me la maggior parte del pubblico di questo tipo di teatro va lì per vedere quella cosa poiché appassionato o informato.»
VF: «Esiste ancora un pubblico appassionato? Mi permetto di chiedertelo perché un paio di volte è capitato di parlare con artisti velatamente amareggiati dal pubblico, poiché a volte avevano fatto spettacoli su cui avevano puntato molto, nonostante il successo in termini di numeri, ma che pochi avevano compreso infine. Condividi in parte o per nulla? E che tipo di spettatori vorresti attirare tu, Andrea, col vostro teatro, invece?»
AC: «Può succedere, ma per mia fortuna non mi è mai capitato. A livello di tipologia di pubblico, non ho, non abbiamo, target prestabiliti. Sappiamo tutti che ormai i teatri sono popolati da persone con un’età media dai 50 anni in su. Purtroppo è più raro vedere i giovani o comunque un pubblico maggiore di giovani, persone dai 35-40 anni in giù.»
Teatro e gioventù
Fra un ahimè e un insostenibile pesantezza dell’essere in mezzo a due cantieri, riprendo il discorso con l’attore.
AC: «È una speranza che io mi porto, nel senso più avanti, di attirare quel pubblico. Spero vivamente che i giovani comincino ad andare a teatro, e il pubblico che vorrei, oltre a quello che già c’è, è un numero più ampio di ragazzi.»
VF: «Concordo, oggi le fasce d’età inferiori ai trent’anni si rapportano meno col teatro, e maggiormente con lo spettacolo. O, meglio, con la spettacolarizzazione. Che costituisce un paradosso fra la voglia di esibirsi davanti a uno schermo e non di fronte a un pubblico che partecipa in modo -forse- più “reale”, in un senso lato.
(Sappiamo che se il mondo social è fittizio, ma le ferite che provoca possono essere più che vere, e profonde. -n.d.r.-) Andrea, da cosa dipende a tuo avviso questo gap sociale e anagrafico?»
AC: «In primis perché nelle scuole ai bambini si insegna poco. Anzi, il teatro negli istituti scolastici viene emarginato, se ne parla male, o comunque si considera poco»
VF: «È una risorsa potenziale non ben sfruttata»
AC: «Proprio così, non si spiega mai i bambini, che non si educano anche a questo tipo di cultura, perché è un tipo di cultura che ci portiamo da sempre, fa parte della storia, e per me è da insegnare.»
Teatro come spazio per accogliere, discutere e divertirsi
VF: «Tornando alla metafora della casa, vorresti passasse il messaggio di una casa dove ci si riunisce “fra grandi” quando ci sono argomenti preminenti di cui discutere, e allo stesso modo anche luogo di incontro di temi seppur più leggeri. Non perciò meno importanti.
Il teatro sta perdendo la valorizzazione scolastica. Lo noto anche all’interno dei laboratori, facendo volontariato in oratorio, con corsi per bambini. Mi accorgo che né i piccoli, né i più grandi, sanno a malapena cosa sia il teatro. Eppure, ci sono molte iniziative nell’ambito cinematografico, poi adesso ovviamente tutto addirittura c’è il laboratorio per diventare influencer.
Cioè queste cose qui che dici? Boh –vabbè– Ci sta: tutto si mescola nell’altresì detto “calderone della cultura”. Tuttavia, si potrebbe inserire l’opzione. Non dimentichiamo che i più giovani sono un po’ tutti attori.
Senza scomodare Pirandello, tutti, pure noi, recitiamo una parte. A seconda del nostro interlocutore e della nostra realtà, ci moduliamo. Ça va sans dire.
Lo notiamo in particolare nei più piccoli, che mimano, intensificando o rallentano i toni, ciò che vogliono spiegare. Raccontano il loro bisogno di comunicare.
AC: «Certo. Un’educazione in merito, l’assecondarne quest’istinto, può anche e perché no, diventare parte del loro futuro.»
VF: «O farne una carriera, come nel tuo fortunato caso!» (Che confidiamo sia di esempio per tanti altri genitori illuminati -n.d.r.-)»
Gli inizi con gli amici fra Buccinasco, Teatro della Quattordicesima e la Tournée
VF: «Abbiamo divagato un po’, come sempre succede…»
(Mi ero ripromessa di non scriverlo. Però cerchiamo di essere il più coerenti e cantori di quanto ci diciamo io e gli artisti. Non vogliatemene, ma è il senso di questo spazio! -n.d.r.-).
(Risata di entrambi e via -n.d.r.-) «Andrea, adesso però parliamo della Compagnia più da vicino, in quanti siete, etc?»
AC: «Io vivo a Buccinasco, nella provincia di Milano, e da qualche anno ho cominciato a seguire, come direttivo artistico, uno dei due teatri di Corsico, il Teatro San Luigi.
Dopo il covid, lì non si facevano più attività e il parroco ha deciso di riaprirlo come spazio cinematografico e, soprattutto, teatrale.
Quindi, insieme ad altri ragazzi abbiamo preso in mano un teatro e da 3 anni, seguendone la stagione. Nasce un po’ così anche il resto: mi sono detto che avrei potuto fare qualcosa, degli spettacoli miei.
Il primo spettacolo
Così, ho preso due miei carissimi amici attori e, insieme, abbiamo fatto questo primo spettacolo, che ha scritto l’autrice e drammaturga Stefania De Ruvo, con mio adattamento. E questo primo nostro lavoro che si intitola “L’appartamento degli uomini soli”, è andato subito sold out. Abbiamo fatto un pienone e, da lì, ho esclamato: “Cavolo, è andata bene: posso andare avanti!”.
In seguito, abbiamo inscenato “Natalemania”, pensato per le famiglie, che è andato a sua volta molto bene. Anche se eravamo solo due in scena, ho pensato di sognare più in grande, e realizzare una produzione mia. Ecco che la Compagnia è nata da quello, iniziando questo viaggio con uno spazio teatrale dove avevamo la possibilità di fare le prove.»
VF: «E ti sei scoperto anche come regista»
Come nasce la Compagnia Andrea Colombo Teatro
AC: «Ho visto che che mi piace fare anche la regia, oltre che stare in scena e produrre io stesso gli spettacoli. Stiamo andando in giro per l’Italia a portare questi nostri spettacoli. A qua a febbraio arriveremo anche al centro, andremo nelle Marche. L’obiettivo è un po’ quello di divulgare e riportare una classe più giovane in sala e fare tournée.»
VF: «Mi complimento: ci vuole tanto coraggio, oltre che tanto amore per questo progetto. Credo anche che i due aspetti siano correlati. L’amore, quando c’è, dà il coraggio per fare una cosa che appassiona e appaga in tal modo. Inoltre, complimenti per la fiducia in questo coraggio.
Sovente tendiamo a non averne a sufficienza nelle nostre potenzialità e i nostri progetti finiscono dimenticati, soffocati. Nondimeno, bravissimo per aver trasmesso questa cosa fino a coinvolgere altre persone, con uno spirito di aggregazione molto forte.
Sono convinta che nel tempo i successi aumenteranno e arriverà anche il giusto merito collettivo, e anzi, ti auguro e Vi auguro di arrivare a tutto quello che è il pubblico. Che ne ha insita mancanza.»
AC: «Grazie. Sono molto contento anch’io perché, al mio fianco, ho persone che sono le prime a credere in questo progetto. Poiché a livello economico siamo, appunto, agli inizi, e quello non ci sta dando meno soddisfazione di quanta vorremmo, avere tutti loro al mio fianco, eventualmente ad aiutarmi, mi rasserena.»
I compagni di sempre: Diego, Mike, Chiara
VF: «Andrea, come si chiamano i tuoi compagni di avventura, con i quali lavori e quelli che sono con te dall’inizio?»
AC: «I due attori iniziali: uno si chiama Diego Longo, e l’altro è si chiama Mike, ma il cognome un po’ complicato perché è polacco. Sono partito con loro, e poi aggiunta Chiara, la nostra scenografa. È una grande artista, laureata alla NABA (Nuova Accademia delle Belle Arti).Con il tempo, si sono aggiunti tutti i vari attori, più saltuari a causa delle loro disponibilità.»
Andrea, Giulia e l’amore
Ad esempio, il cast di “Rumors” (di Neil Simons -n.d.r-) è già cambiato tre volte, ed è quasi completo. Grazie ai provini che ho aperto per questo spettacolo si è presentata Giulia che è anche diventata la mia fidanzata. Abbiamo cominciato a lavorare insieme, e… ho trovato anche l’amore.»
VF: (Mi fa molta tenerezza nella risata emozionata. Beato il romanticismo che vive ancora! -n.d.r.-) «È una grande cosa: quando c’è un’unione così, che si struttura e sia ampia, si fortifica anche a livello umano. Fa tanto piacere trovare delle coppie, come immagino, giovani con questo entusiasmo. Non è così comune, pertanto, molta stima a voi!»
AC: «Siamo tutti under 35, in effetti!»
Fra sfide e nuove produzioni
VF: «Bella sfida, di quelle di cui c’è bisogno. C’è la necessità, e me ne accorgo anche con alcune Compagnie persino storiche, di una linfa più dinamica, che si rapporti con ambiti differenti. Anche perché non è la passione né l’energia che cambia, solo il modo in cui impiegarle, poiché si amplificano nel tempo. Credo sia richiesto dai nostri tempi un rapporto diverso con il pubblico, con un messaggio più ampio, mantenendo saldi i valori più profondi. E anche il teatro di parrocchia può essere un’ottima risorsa, come tuo papà a livello amatoriale e tu stesso ci dimostri.»
Colombo annuisce: «Certo.» Riprendo: «A questo punto, Andrea, puoi dirci anche delle produzioni di quest’anno e delle prossime?
AC: «Stiamo preparando per il mese di Dicembre, all’interno della rassegna culturale di Buccinasco “Il Sogno di Capitan Uncino”. Si tratta di un nuovo family show che sarà ballato e cantato dal vivo sul capitano che tutti conosciamo, e della sua ciurma di pirati strampalata, come mi piace chiamarla. È una delle due nuove produzioni che stiamo realizzando e sarà uno show pensato per le famiglie e soprattutto per i bambini perché leggero, e farà molto ridere.
La seconda produzione con la quale debutteremo a Milano il 21 di marzo 2026 al Teatro Guanella di Milano si chiama “Trappola mortale” di Ira Levin, commedia e giallo molto suggestivo o creepy, azzarderei. È un adattamento che volevo fare da tempo e questa sarà la nuova grande produzione a livello di commedia»
Andrea fra ispirazioni
VF: «Spero di venirvi a vedere! C’è un personaggio che ha in qualche modo ispirato il tuo modo di vedere i tuoi spettacoli?»
AC: «Un personaggio in generale o un personaggio nei miei spettacoli?»
VF: «Entrambe: figura per Andrea e personaggio per l’attore e regista Andrea Colombo, se ci sono»
AC: «Ci sono dei degli attori ai quali mi ispiro sicuramente, a livello di creazione e di crescita di produzione. Benché faccia tante cose e alcune anche diverse da quello che faccio io, un personaggio a cui ispiro molto, come imprenditore dello spettacolo, è Paolo Ruffini. Ha fondato la VERA SRL, una sua casa di produzione teatrale e cinematografica. Un progetto che, quasi da zero, è diventato un piccolo impero. Quindi, a livello imprenditoriale lui. Assolutamente. Per giunta, ho avuto anche il piacere di conoscerlo.»
VF: «È un grande artista, e forse ancor più, una persona meravigliosa che anch’io ho avuto piacere di incontrare a teatro, in occasione del film “Ragazzaccio”. Prima ancora, lo avevo contattato quando cercava famigliari e amici di malati di Alzheimer per realizzare “PerdutaMente”. Struggente.
Ha una sensibilità unica, e lo seguo anche ne “Il baby-sitter”, in cui lascia parlare i bambini e la sua commozione, nonostante la risata che ci inserisce, è molto bella, umanamente. E non ama il politicamente corretto, che un po’ ci esaspera oggigiorno, piuttosto che essere risorsa per la comunicazione, che diviene mutilata.»
AC: «Assolutamente sì. Anche per me, come dice lui, il politicamente corretto è una gabbia. Anche nel suo ultimo spettacolo che ho visto, “Din Don Down”, in cui il cast è composto da attori con la sindrome di down, e dice apertamente di detestarlo, e questa scelta, invece che adeguarsi a certi parametri perbenisti, lo sta premiando con le persone che vanno a vedere lui e il suo cast.»
…e personaggi ispirati
VF: «Invece, a livello di personaggio inteso come carattere funzionale, c’è qualche personaggio che ha ispirato i tuoi? O, fra i tuoi, ne hai uno del cuore che ti fa capire o scoprire qualcosa del tuo carattere, inteso come Andrea Colombo?»
AC: «A livello di carattere/personaggio ce n’è, magari uno, più generale. Ce n’è uno via via, magari per ogni spettacolo o per ogni personaggio che io personalmente interpreto, ma non uno specifico.
Come personaggio del cuore, per me, come Andrea, invece, sceglierei il personaggio di Luca di “Natalemania”. Mi permette di capire tante cose perché io sono una persona che pensa tanto al lavoro che ama e che però non stacca mai la testa. Nello spettacolo, Luca è così, ma a fine spettacolo *spoiler* comprende questa cosa e tenta di “raddrizzarla”.»
Invito a teatro
Il tempo scorre in fretta ed è ora di salutare il nostro Prof. Colombo
VF: «Andrea, spero che per te sia stata ugualmente interessante la nostra chiacchierata. Intanto ti chiedo un’ultima cosa, un’ultima domanda: c’è qualcosa che vorresti dire per incentivare o invitare le persone a vedervi?»
AC: «Molto piacere. Anzi, grazie per il tuo tempo, lo dico perché è sempre piacevole parlare con una persona che è così appassionata di quello che fa, e lo trasmette.
Le sale hanno bisogno e hanno voglia di essere riempite
Per rispondere alla tua domanda: farei un appello a un pubblico giovane, e soprattutto a coloro che non vengono perché forse conoscono poco la realtà del teatro. Che è una cosa che magari non viene in mente spesso come quando si organizza di andare al cinema con gli amici, ma può essere alternativa validissima. Questo appello lo rivolgo ai più piccoli e pure ai miei coetanei , agli adolescenti etc.
Li esorterei a provare ad avvicinarsi al teatro per vedere quanto amore il teatro ha da dare anche anche a loro. Questo invito generale generale di venire a teatro vale per un mio spettacolo e per gli altri»
Le sale hanno bisogno e hanno voglia di essere riempite
VF: «Un invito molto poetico, una bella immagine a cui aggiungo che oltre al bisogno, le sale hanno bisogno voglia, che è messa in secondo piano dal dal bisogno. Invece, quando una cosa ha voglia di coinvolgere il pubblico è, a mio parere, molto più appagante anche per chi si sente poi coinvolto.»
Andrea Colombo fra Amatoriali e Professionisti coetanei
Ringrazio e mi scuso nuovamente per aver sconfinato con la condivisione su GATaL, la telefonata con il fondatore Roberto Zago che accettò di far recitare il suo secondo, nonché presidente a seguire, Michele Faracci, a un evento di beneficenza. Lo organizzai in favore di due Onlus che si occupavano di ricerca sulle demenze e famiglie di pazienti.
Il progetto era per la mia tesi di laurea in Cattolica. Dove, grazie alla mia ex Docente, nascono i ragazzi di Kerkìs, che fanno teatro antico in scena.
Su di loro, Colombo si esprime dicendo che «è bello perché anche quello lì è un teatro che secondo me si è un po’ perso e quindi vedere dei giovani che lo fanno è bello sicuramente bello. E loro sono veramente bravi.»
Naturalmente, Andrea conosce anche la realtà amatoriale da tempo.
Essa gli ha permesso di appassionarsi al teatro, e con esso, fondatore e prosecutori. Come idealmente lo diventa lui, del suo papà, e di una generazione energica. Vitale, tipica di un’età che fiorisce e si fa scoprire.
Il teatro ha il potere di far toccare le persone da vicino
(Guarda te come è piccolo il mondo, stavolta si -forse- può scrivere. -n.d.r.-)
VF: «Il teatro ha il potere di far toccare le persone da vicino. Allo stesso modo, spero che un po’ di quel tocco giunga in modo diverso, anche attraverso le parole del nostro spazio.
Ci auguriamo che nella nostra prossima chiacchierata ci racconterai con i tuoi compagni del vostro percorso, magari dopo la tournée. Sicuri che andranno molto bene. Siamo contenti di averti avuto con noi!»
AC: «Grazie a te, a voi. E grazie ancora per questo tempo che mi hai dedicato. Ci vediamo a teatro!»
Vale la pena leggere di figure nuove, no?! Pardon, più che di figure, ci piace pensare al coinvolgere nelle loro belle storie, giusto?
E di belle storie, di nuove avventure, ne abbiamo sempre gran bisogno. A teatro, così come nella vita di tutti.
Scrivendo quest’ultima frase, la mia mente si fissa infine sull’inconsueto trovarsi e scovarsi di quei fili o legami di cui vi ho accennato all’inizio.
Mi chiedo spesso: e se il nostro tracciato di vita personale, come individui, come essere ed esseri umani, si collegasse al di fuori di quest’apparente assenza di programmaticità?
Chissà, ma poco importa.
Sono belle sorprese che accogliamo o dovremmo imparare ad accogliere sempre.
(E insomma, dimostrano come, perlomeno, le vie del Teatro, siano infinite. -n.d.r.-)
Ad maiora, semper, ragazzi!



Leave a Reply