Recensione: “Se non posso ballare non è la mia rivoluzione”

ballare
Foto Luciano Rossetti ©

Lella (ac)Costa nella sua macchina teatrale donne rivoluzionarie di ogni tipo e tempo

Un gineceo a cielo aperto. Un elenco, sorseggiato e consegnato agli spettatori, di donne che hanno fatto la storia o semplicemente hanno fatto qualcosa per, qualcosa d’inedito, di cosi’ utile in grado da sopravvivere alla caducità del tempo. Al Carcano dal 19 al 23 marzo, ispirato al “Catalogo delle donne valorose” di Serena Dandini, con la scrittura scenica di Lella Costa (autrice del saggio  “Se non posso ballare non è la mia rivoluzione” freschissimo, del 2025, edito da Solferino) e Gabriele Scotti, progetto drammaturgico e regia di Serena Sinigaglia,scene di Maria Spazzi, ambientamento sonoro di Sandra Zoccolan, disegno e luci a firma Roberta Faiolo, i costumi sono di Antonio Marras, progetto a cura di Mismaonda, una produzione Teatro Carcano, partner The Circle Italia, con il sostegno di Bper per il teatro al femminile.

Una Lella Costa, recitante, danzante, a tratti peripatetica, quasi contorsionista, fa scorrere questa carrellata di signore, ne accarezza i ricordi e ne rievoca pregi, tratti, scoperte. Sullo sfondo, Il catalogo delle donne della Dandini certo, ma riecheggia anche il Catalogo delle donne di Esiodo. Scena essenziale, una scala che si vede solo in parte, coperta da un pannello dove, sotto forma di luci a led, compaiono, una dietro l’altra, in un ritmo vorticoso e sempre più empatico i nomi di signore, ragazze, madri, eroine, regine, potesse, primatiste: Alfonsina Strada :la prima ciclista, e non poteva, racconta Lella, con quel cognome, che correre in bici… Lucrezia Corner, la prima donna laureata e in Filosofia nel 600. Margherita Hack, Franca Valeri, Simone Weil, Virginia Woolf, Teresa d’Avila, Elsa Morante, Mary Anderson, l’inventor del tergicristallo.  Non sono semplicemente passate in rassegna, ma Lella Costa, da mattatrice quale è , parla di loro, parlando in qualche modo a loro e declinandone, via via, i loro accenti e riproducendone i loro idiomi.

Le prende, tutte, sotto le sue braccia istrioniche ed evocative, ne plasma apparizioni fugaci, una dietro l’altra. In un gustoso gioco d’intarsi femminili, dove la brevitas nel raccontarne una ad una, conferisce alla lunga lista completezza ed oggettività. È una danza che offre al pubblico: quella tra lei e loro, tra lei con loro. Un ballo dal ritmo incalzante, che non ne vuol sapere di finire. Una ballata di nomi, citazioni, piccole e grandi imprese. E proprio un ballo, quello della dissidente ed attivista Emma Goldman e la sua frase: “Se non posso ballare non è la mia rivoluzione” dà il titolo alla performance.

Non ci si può distrarre un attimo, altrimenti, si perde questo lunghissimo ed interessantissimo gomitolo rosa: ci sono sante ed atee, italiane e straniere, giovani ed anziane, accademiche e contadine, amate e tradite, innamorate ma sempre sovversive. C’è tutto l’ineffabile gentil sesso, dolce ed autorevole, determinato ed incantevole. Le fa risorgere e le fa comunicare ancora, un’altra, per molti presenti ,una prima volta. 

Le consegna, come si fa con le stoffe pregiate di un baule prezioso. Lella Costa ma quasi Lella accosta una ad una queste sfrontate creature barricadiere per nascita o per scelta, che vivono o sono vissute, in questa baldanzosa forza della natura, che si muove riproducendo quello che sta recitando, con quell’ etopea, cioè plasmando il carattere di chi accoglie sul sipario, propria di certe pagine di Lisia, pensatore, come del resto altri, conosciuti idealmente avendo, la nostra, possenti studi classici alle spalle. Si sa, non si rivela l’età di una donna. Ma qui, sia concesso, per un valido motivo: piroette, monologhi dentro il grande monologo madre, non proprio cose usuali per una persona classe 1952. Tante donne in lei, in lei in tanti modi di essere donna. Insomma, una Lella Costa da vivere, minuto per minuto. Mujer dopo mujer

Luca Savarese

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