Recensione: “Esilio”

esilio

Se il percorso all’interno del mondo del lavoro del Charlie Chaplin di Tempi moderni si concludeva con uno sguardo di speranza rivolto al domani, il cammino dell’Uomo protagonista di Esilio della Piccolo Compagnia Dammacco (secondo capitolo della personale in scena al Franco Parenti) si traduce invece in una progressiva discesa all’Inferno. Un Inferno dell’Anima, in cui L’Uomo, dopo essere stato licenziato, perde progressivamente ogni riferimento: la sua dimensione sociale, la sua sfera affettiva, le sue certezze fino a giungere ad un definitivo smarrimento dell’identità personale e ad una scissione dalla sua coscienza. Una separazione talmente netta da produrre un non – dialogo tra due entità che ormai non si appartengono più, pur continuando a coesistere nello stesso ambiente.

Questo, in estrema sintesi, è il fulcro del bellissimo lavoro dei Dammacco. Il riferimento a Charlot non è causale: lo richiamano a noi sia le tematiche trattate sia la costruzione del personaggio affidato a Serena Balivo (baffetti sul viso e incedere dondolante e buffo, mentre lo studio della vocalità, assente in quel Chaplin, si appoggia e allude ad un altro grande personaggio stritolato tra gli ingranaggi del mondo di lavoro: quella geniale, comicissima e tragica figura che è stata il Fantozzi di Paolo Villaggio).

Recessione americana allora, recessione mondiale adesso. Lo sguardo dei Dammacco parte dalla società e poi, con progressivo zoom, si infila nelle pieghe della carne dell’Uomo e ancora più dentro, nelle zone impalpabili dell’Anima. Una drammaturgia straziante, con inaspettati picchi di comicità (sin dall’inizio, con l’Uomo intento a consolare chi gli stava dando il benservito), scritta apposta per sfruttare tutte le corde di quel miracolo d’attrice che è la Balivo.

Ma in questo non – dialogo (o doppio monologo ad incastro, se preferite) tra le due entità, c’è anche qualcosa che ci è parso meno efficace. Se da un lato è sembrata ottima l’idea di dare carne e concretezza alla Coscienza (o Anima? O Ossessione?), richiamando in qualche modo l’operazione di Inside Out (anche se in realtà i primi studi dello spettacolo sono antecedenti rispetto all’uscita del film), dall’altro ci è sembrata meno affilata e tagliente la drammaturgia di questo personaggio, interpretato dall’autore, Mariano Dammacco, in abiti femminili. Forse troppo votata verso un registro malinconico – filosofico, che a volte è sembrato stonato con il resto della scrittura. Anche l’esito scenico, in alcuni punti, ci è parso più debole. In particolare la decisione di sostituire la voce registrata dei primi studi con una voce live ma da dietro le quinte non ci è parsa particolarmente felice.

Il lavoro, nonostante queste piccole incertezze, rimane comunque di livello non solo alto ma addirittura eccelso. Piccola Compagnia Dammacco è tra le compagnie italiane in assoluto più interessanti e l’intesa tra un drammaturgo – regista (Mariano Dammacco) che sa scivolare come pochi nelle zone d’ombra dell’essere umano e un’attrice (il premio UBU Serena Balivo) sempre più accarezzata dal soffio della Grazia, non può che produrre piccoli miracoli, come questo Esilio e come L’Inferno e la fanciulla, visto qualche mese fa sempre al Parenti.

La personale dedicata dal teatro alla Compagnia si concluderà con La buona educazione (12 -17 giugno)

Massimiliano Coralli

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