Recensione: “Il miracolo di Marcellino”

marcellino

Il pane della tenerezza, il vino della giocondita’: la grandezza del piccolo Marcellino

Chi pensava che fosse una storia patetica, è stato smentito.  Chi la riteneva, in fondo, una piece ormai desueta, e’ stato costretto a ricredersi. Il racconto, usci’ dalla penna dello scrittore spagnolo Jose’ Maria Sanchez Silva nel 1953 e nel 1955, divenne film. Marcellino pane e vino formato musical,è uno squisito canto di speranza, di quella speranza che non è l’ultima a morire, ma la prima a nascere. 

Game produzioni ha prodotto una macchina artistica allegra e leggera, profonda ma non pesante, pensante e divertente. Questo e molto altro si respira in il miracolo di Marcellino. Marcellino pane e vino; libretto di Paolo Galli, la direzione musicale di Adriano Scappini,  l’organizzatore è Giovanna Gattino, la coordinatrice Monica Volta. All’interno della rassegna Codice Teatro, sta allietando il teatro san Babila, dal 19 al 22 e dal 27 al 29 dicembre. 

Con la prima, di venerdì 20 dicembre, per la regia di Antonio Melissa, assistente di regia Vanna Tino, le musiche di monsignor Marco Frisina.  “Un bambino lì guiderà” rivela il profeta Isaia. In effetti è un bambino, a guidare attori e spettatori. Gli attori sono loro: Miriam Somma nei panni della mamma di Marcellino, Danny Bignotti, frate porta, Antonio Lo Bianco, fra pappina, Andrea Ghislotti fra malato, Gioacchino Inzirillo, fra din don, Davide Bonafini, fra balbetto. Maurizio Semeraro è il padre superiore. Marco Massari indossa le vesti del sindaco e Silvia Liberato è  Teresa, la donna, multitasking, del convento. 

Marcellino è lui: Riccardo De Palo, 9 anni, da Torino dove studia cinema con Gioacchino Inzirillo, qui fra din don. Musical dinamico, fragoroso, croccante come triangolini di piadina, farcite di nutella, offerte prima dello spettacolo, nello spazio rotondo, appena terminate le scale d’ingresso del san Babila. Un modo inusuale e molto gradito d’introdursi alla vita di quello che si va poi a vedere. Condito, il tutto, da freschi bicchieri di abbondante sangria. Per una simbologia del pane e del vino di tutto rispetto, anche a livello gustativo. Con colei che poi interpreterà Teresa, Silvia Liberato ad elargire gustose caramelle, a ritmo di canti. Come inizio, niente male. Basterebbe, già questo prologo, per tornare a casa scaldati e contenti. 

Ma, questo imprevisto aperitivo teatrale, è solo l’apertura di giochi scenici che ti prendono e ti coccolano, proprio come faceva la mamma di Marcellino, costretta, per indigenza, ad abbandonarlo davanti ad un convento di monaci. Delicata e dolce, che lascia, malconcia, tra mille spasimi e senza perdere la dignità, il suo fagottino ma non gli lesinerà cure ed attenzioni, una volta morta. I frati sbigottiti, e un po’ maldestri, cercano di assisterlo e di non fargli mancare niente, non gli fanno mancare la loro baldoria, il loro esserci. 

Mentre cresce la curiosità tra il pubblico, poco presente, l’unica nota stonata della serata, cresce anche Marcellino, che fa il suo ingresso. Pimpante e subito espressivo Riccardo. Dialoga, gioca e scherza con i fraticelli, che lo apostrafano piantaguai e che lui rinomina fra pappina, fra malato, fra porta, fra din don, fra balbetto.  Una sorta di racconto picaresco al contrario, avventure di un ragazzo dove la strada è la fede, respirata per osmosi dai frati e ricevuta dalle continue premure della mamma divenuta presto suo angelo. E la fede è la sua strada. Gioca e fa pasticci, come tutti i ragazzini, cresce e si fa le ossa ed osa. In soffitta ha il diveto di andare ma lui, va, con l’ amico immaginario Manuel. E scopre l’amico degli amici, Gesù. Emaciato, sofferente,  crocifisso. “Perché hai così tante ferite ? Tu ce l’hai una mamma?” Chiede, con confidenza e spontaneità Marcellino. 

Spontaneità che si evince nella resa del personaggio realizzata dal piccolo Riccardo, che si prende la scena rimanendo se’ stesso, senza poi badare troppo a forzature o a tatticismi attoriali, sempre più in voga, tra i bambini, anche in ambito televisivo. Ne sentiremo parlare. Personalità, mostrata, del resto, anche quando cala il sipario e dove, a fari spenti, riceve complimenti e buffetti da parte dei presenti ma non disdegna l’abbraccio della sua vera mamma e le indicazioni di suo papà. Il pane della tenerezza ed il vino della giocondità. Un menù di cui, circondati e saziati da pietanze amare nude e crude, che ci vengono servite senza chiederci il permesso h 24, ne abbiamo, tutti, una gran fame. 

Ma c’è,  come ogni menù che si rispetti, anche il dolce. Non è materiale, ed anche per questo, è ancora più prezioso: quella dolcezza spirituale, carezza d’altronde continua, nella filigrana di tutto questo adattamento della vicenda. Cosi quando esci dal teatro, mentre sali sulla metro o in macchina, ti pervade quel balsamico mix tra pienezza e desiderio, come se fossi uscito dalla messa di mezzanotte.  E vorresti essere anche tu, tra i gradassi del mondo, un po ‘ come Marcellino. Nessuna tristezza dunque. Alcun passatismo. “Come spiegherebbe ai bambini che cos’è la felicità? Non glielo spiegherei, gli darei un pallone da calcio. Ebbe a dire la teologa tedesca Dorothee Sölle alla domanda di una giornalista. Come spiegare ai bambini, ma anche ai grandi, cos’è la fede? Non c’è da spiegare, piuttosto da vedere questo Marcellino pane e vino, fisico e mistico insieme, escatologico ma logico nel contempo. Fiction teatrale che esce dalle quinte, per farsi vita. Eccolo il miracolo. Il miglior augurio di Natale,  senza nemmeno poi nominarlo, nell’opera, il Natale. 

Luca Savarese

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