Recensione: “La voce degli eroi”

repice

Cambia il parziale al Villoresi: ha segnato, Francesco Repice!

La voce di Sandro Ciotti che racconta il sospiratissimo gol di Roberto Baggio ad Usa 94, su assist di Roberto Mussi, nel cuore e verso la fine dei supplementari di Italia – Nigeria, ottavo di finale del mondiale a stelle e strisce. L’immagine, un frammento di quella partita, la voce di Francesco Repice, il radiocronista di punta, per le frequenze di Radio Rai, del pallone, che per una sera, non ci avvisa di un gol di Calhanoglu o di una parata di Maignan, né di un colpo di testa di Dany Mota (per restare in terra monzese, luogo di questo debutto) ma srotola, fa parlare e vivere, tutto questo e molto di più. Rabdomante di connessioni. Rapsodo di vari tessuti, intessuti da varie voci.

Si scrive La voce degli eroi, si legge un luna park di emozioni, da vedere (come non capita spesso) ed ascoltare (come accade alla radio) da vivere (come avviene a teatro). Abile Francesco e disinvolto, eppure è solo alla seconda partita da attore, bravo a creare una sinestesia: a far vedere quello che si sente. A far sentire quello che si vede. A raccontare quel quid emozionale, che in questi anni, ha fatto sentire e vedere il pallone. A coloro i quali abbiano provato a cogliere, a mostrargli un animo alla Neruda, disponibile a collaborare con certe suggestioni.

Una collocazione, quasi un intarsio, tra musica e parole, immagini e termini, che è anche una collezione orale e parlante, di ricordi. Quello che hanno provato a fare quei radiocronisti, mostri sacri, maestri luminosi ed illuminati, della parola. Sandro Ciotti, Bruno Gentili, il suo discepolo, che per ovviare alla difficoltà di non conoscere la formazione scozzese per l’attacco di Roma – Dundee United, semifinale di Coppa dei Campioni 1984, in postazione cronaca, seconda voce, accanto a Ciotti stesso, s’inventò lo stratagemma di citare i giocatori avversari (internet era ancora di la’ da venire…) come fossero dei nomi di whisky, meritandosi il prestigioso consenso di Ciotti. Si respira questo, si respira vita, si respira calcio, si respira patos, si respira attesa, si respirano sussulti di calcio e di storia.

Di storia lunare, provata a scrivere da Tito Stagno, che arrivò a comunicare in anticipo il primo passo, del primo uomo, sulla luna. Va bene, gioco’ d’anticipo. Ma, ormai, l’aveva detto lui. Ipse dixit. Già’, il dire prima ed agli altri, una notizia. Il chiodo fisso, di molte voci. Una miscela di voci, resa poderoso caffè discorsivo, srotolata con quelle chicche, con dosate pause e sapienti incalzi, che la sua postura barricadiera sa narrare. Come Sandro Ciotti, che disse ad un Francesco alle prime armi, che con un foglio zeppo di scritte si apprestava ad andare in onda, nella palazzina di Saxa Rubra, per il giornale radio: “Quando ti daranno una radiocronaca farai novanta minuti a leggere?”. Bastò quella frase, incisiva più di una durlindana, a declinare il percorso, giornalistico, di Repice. Quando, si dice, l’esempio dei grandi.

Persone incontrate sulle strade professionali, come il “cugino” laziale Galeazzi. “Cugino” perché Francesco, è romanista, dichiarato e purosangue. Genuino e se stesso, Giampiero, sino all’ultima curva, che lasciò una telecronaca del tennis affidatagli al Foro Italico, per andare a vedere la Lazio vincere all’Olimpico, contro la Reggina e festeggiare, nel 2000, in concomitanza della sconfitta della Juve a Perugia, il secondo scudetto, in mezzo alla sua gente. Come Bruno Pizzul, che in punta di voce, quasi chiedendo il permesso, dovette comunicare che l’ultimo atto della Coppa Campioni del 1985, tra Juve e Liverpool, in Belgio, si stava trasformando, in un’ondata di sangue.

Come Victor Hugo Morales, il radiocronista uruguagio, che raccontò il gol dei goal: quello, dopo la picaresca rete di mano, con la corsa, a perdifiato, di dribbling, di classe, di sfrontatezza tecnica, di Diego Armando Maradona, a saltare mezza Albione e a freddare il portiere Peter Shilton, nel quarto di finale di Argentina – Inghilterra, al mondiale messicano del 1986. “Da que planeta veniste, barrilete ccosmico”. Un aquilone cosmico, così potente, così forte, da far innamorare Francesco e a fargli pensare che questa sarebbe stata la sua strada, questa sarebbe stata la sua passione, questa sarebbe stata la sua professione. Perché se si racconta un’emozione vissuta, la si ricorda anche. Altrimenti, la si dimentica.

La scena, molto semplice, affidata alla regia di Matteo Corfiatti. Marco Notaro, invece, ne cura il materiale fotografico. Lui stesso,  Francesco Repice, così come racconta, dai banchi della tribuna stampa degli stadi d’Italia, in Europa e in giro per il mondo, partite e pallone: maglione, pantaloni casual ma non troppo, scarpe abbastanza sportive ed una collana di perle colorate, quasi da surfista. E poi una scrivania semplice, semplice come il bicchiere di birra, da sorseggiare, da ruminare qua e la’, durante e dopo aver fatto sorseggiare e ruminare, parole ed emozioni.

Due alla fine, le dediche, mission, del resto, di ogni giocatore chi si rispetti, dopo una partita che lo ha visto protagonista. A Denis Bergamini, compianto centrocampista del Cosenza, squadra della città natale di Francesco, del quale già aveva parlato, nel suo primo spettacolo al cosentino Rendano, il 28 febbraio scorso, incentrato su Bergamini e sull’altro compianto Gigi Marulla. Ed a chi, secondo Repice e tanti addetti ai lavori, poteva essere l’erede di Beppe Viola ma purtroppo, la vita, lo ha messo in fuorigioco troppo presto: Alberto D’Aguanno. Uno spettacolo capace di riempirti, di accenderti. E perché la voce degli eroi risuoni e continui a suonare, noi siamo solo chiamati a farla entrare, a togliere dal campo ogni tipo d’intralci. Tipo poco prima del fischio d’inizio, di una partita.

Luca Savarese

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