
Socrate il sopravvissuto/come le foglie, spettacolo vincitore di numerosi premi nazionali, approda al Piccolo Teatro Studio Melato, prodotto da Anagoor, compagnia eclettica ormai consolidata all’interno del panorama teatrale italiano, dall’11 al 15 aprile.
Anagoor pone al centro della messinscena una classe di alunni, alternando diverse temporalità, opere e innesti liberamente ispirati ad altri testi (da Platone a Nooteboom), delineando un discorso, meravigliosamente dialettico e di straordinario impatto estetico, intorno al tema dell’educazione e al ruolo di insegnanti e alunni, troppo spesso sviliti, degradati, ancor più nell’epoca contemporanea e in Italia, in particolare. Due piani di realtà vengono sovrapposti attraverso il richiamo a due avvenimenti ben definiti: i momenti precedenti alla morte di Socrate contenuti nel Fedone di Platone e l’ora in cui lo studente Vitaliano Caccia massacra l’intera commissione di maturità a colpi di pistola, lasciando in vita solo l’insegnante di Storia e Filosofia, narrata da Antonio Scurati ne Il sopravvissuto.
L’opera, ponendosi nei confronti del pubblico come davanti ad una folla di ateniesi riuniti a discutere circa le sorti della Polis e della sua amministrazione, deposita nelle menti una serie di interrogativi, domande incalzanti e pungenti, ma che non impongono la necessità di una risposta immediata, anzi invitano ad un processo dialettico di comprensione che ai giorni nostri, in teatro come nella scuola, nelle istituzioni, risulta trascurato, se non totalmente abbandonato. Domande che diventano immagini fortemente evocative: alunni come corpi da nutrire di un sapere nozionistico e sterile, che scivolano lentamente dalle loro sedie a simboleggiare la deriva di un sistema scolastico ed educativo, come quello contemporaneo e nazionale, che considera il giovane mero contenitore da riempire di informazioni, forzatamente, reprimendone le capacità intuitive e rinchiudendo le possibilità d’apprendimento all’interno di testi, libri ,volumi intrisi di regole e formule, che vengono letteralmente strizzate dagli studenti e lasciate lì a ad asciugare, in attesa. Queste, infatti, per imprimersi nella mente e comportare un reale apprendimento, dovrebbero essere trasmesse in maniera accorata, passionale, interessata e interessante. E l’insegnante di Storia e Filosofia (Marco Menegoni), che ha ben compreso i doveri dell’istituzione scolastica, constata amaramente il fallimento di essa e, al contempo, la propria sofferta incapacità di sopperire alle mancanze di un sistema che sembra voglia replicare l’addestramento militare di un esercito nazionale nell’educazione delle anime ancora acerbe: allora i corpi, meccanici e allineati, si sincronizzano in una danza marionettistica, dopo essere stati cadaveri striscianti e traghettatori di libri, raggiungendo il culmine di una protesta, che vuol essere rifiuto della norma, intesa come regola, e slancio alla libertà.

La necessità di riportare la questione educativa al centro di una discussione altamente sociale e civile, determina il ritorno al passato, alla massima rappresentanza del processo dialettico a servizio della formazione personale, Socrate, per ristabilire un ordine di doveri e priorità in questo confusionario presente. Attraverso un’ancestrale rappresentazione su schermo, con riprese di grande gusto estetico e sapientemente supportate dalla riproduzione live di rumori e dialoghi da parte degli attori/alunni (ragazzi provenienti da tutta Italia e molto capaci in questa prova attoriale/performativa), riviviamo i momenti che precedono la morte di Socrate e in particolare la conversazione con Alcibiade. Si discute sul giusto e l’ingiusto, sull’anima e il corpo, affermando costantemente la centralità di un processo maieutico di apprendimento e la consapevolezza che il sapere non è mai qualcosa di acquisito, quanto una perpetua e accorata ricerca.
L’apparato scenico, dall’accurata essenzialità della scenografia e una drammaturgia sonora finemente curata e d’impatto (a cura di Mauro Martinuz), fino alle riprese aeree di paesaggi e lande desolate, a descrivere un mondo che necessita di essere ricostruito a partire da uno sguardo nuovo e lungimirante, supporta pienamente la missione didattica di Anagoor. Tutto ciò riporta al tragico finale della vicenda di Vitaliano Caccia, descritta magistralmente dalle parole di Scurati, testimonianza dell’odierna incomunicabilità tra istituzioni e popolo, maestri e allievi.
La compagnia veneta affronta e restituisce una precisa e potente critica che, sebbene possa essere snellita e resa più incisiva a tratti, riporta a teatro un problema secolare e fondamentale, quello dell’educazione come ricerca interiore e relazionale, sul quale sembriamo aver mostrato, nel tempo, una regressione; la reazione, rispetto ad essa, dev’essere immediata e la responsabilità risiede nello sguardo critico del presente e nello slancio, coraggioso, al futuro.
Giuseppe Pipino
E’ un dramma scomodo. Un insegnante che crede di fare il bene ma che e’ turbato, che rimane a celebrare il suo ruolo pur essendo del tutto cosciente della sua inadeguatezza, che si sporge pericolosamente a contemplare la morte e non vede la vita. La violenza insensata che alla fine scaturisce sembra nient’altro che una risposta ad una situazione esistenziale, quasi una conseguenza del suo indugiare irresoluto o peggio. La distanza con Socrate, generoso, vitale, completo, resta abissale e terrorizza quasi piu’ del problema del male. Rivestire il ruolo di Socrate per lavoro non e’ lo stesso che essere Socrate.