“Human Farm”: intervista a Fartagnan Teatro

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La compagnia Fartagnan Teatro torna in scena a Milano per portare anche davanti al pubblico milanese “Human Farm” secondo spettacolo della Trilogia Distopica che dopo il debutto al Residenza Idra di Brescia ha dovuto fermarsi per colpa della pandemia. Human Farm sarà in scena a Campo Teatrale dal 3 all’8 maggio.

La storia è ambientata in un futuro non molto lontano dove un imprenditore visionario, finanziato da una potente cordata di multinazionali, ha creato, in un laboratorio segreto, una nuova tipologia di lavoratore destinata a rivoluzionare per sempre il mondo del lavoro. Il problematico, fragile e cagionevole essere umano sta per essere sostituito dal ben più docile, prestante e ubbidiente umanzo. I pregi degli umanzi rispetto agli esseri umani sono innumerevoli. Gli umanzi lavorano senza sosta e soprattutto senza chiedere in cambio nulla; parole come malattia, ferie, maternità e stipendio per loro sono del tutto prive di significato. Per vederli saltare di gioia, basta sventolare davanti ai loro occhi uno dei loro amati buoni pasto. A contrastare questo entusiasmante progresso nel laboratorio segreto, arriva un giovane e arrogante giornalista precario, convinto di poter cambiare il mondo con un reportage.

Di questo spettacolo, e non solo, abbiamo parlato con l’autore Rodolfo Ciulla.

Come descriveresti Fartagnan Teatro?
Siamo amici di lunga data ed ex allievi della Paolo Grassi. Una volta finita l’accademia facevamo fatica a lavorare così abbiamo deciso di metterci insieme e allestire il nostro primo spettacolo. A distanza di sei anni siamo ancora qui. Quattro attori, un drammaturgo e due organizzatrici teatrali. Ci piace fare spettacoli per i nostri coetanei trentenni, ma anche più giovani. Quando abbiamo iniziato dicevano che era impossibile fare fantascienza e distopia in teatro così in maniera testarda abbiamo deciso di iniziare proprio da questi generi.

Tra gli argomenti trattati c’è anche il mondo del videogiochi
Sì, “Console Wars”. È stato il terzo spettacolo della compagnia. Parlava di una fetta della storia di videogiochi, della battaglie che sono trascorse tra le varie case di produzione di console e i retroscena di spionaggio industriale che ci sono dietro.

“Human Farm” invece come è nato?
È nato da una domanda. Volevamo parlare del mondo del lavoro e dal fatto che sembra che ormai il dipendente migliore è quello che lavora tanto e chiede poco. La domanda che ci siamo fatti è: “Cosa accadrebbe se il ceo di un’azienda sopra le righe decidesse di creare il lavoratore perfetto che lavora tanto e non deve essere pagato?” Ha subito delle modifiche nel corso degli ultimi due anni e mezzo e quello di Campo Teatrale per noi è un vero e proprio debutto.

A quali opere vi siete ispirati per questo spettacolo?
Principalmente a due opere. La prima è “Ritorno al mondo nuovo” di Huxley perché tutti i membri di Fartagnan sono patiti di distopia con l’autore britannico al primo posto. La seconda è il manga “The Promised Neverland” che non conoscevamo quando abbiamo iniziato a lavorare a “Human Farm”, l’abbiamo scoperto in corso d’opera e abbiamo adattato alcune situazioni ispirandoci a questo manga molto interessante che sviluppa benissimo il concetto della fattoria umana. Si tratta comunque di una spy story, cerchiamo di portare l’action a teatro, non è stato semplicissimo ma abbiamo trovato una quadra anche simpatica per convertire questo linguaggio tipico del cinema in una forma teatrale.

Per i canoni italiani voi siete considerati una giovane compagnia emergente, ma esiste la meritocrazia nel nostro teatro?
In Italia esiste sicuramente un circuito che ti permette di mostrare i tuoi spettacoli e di andare in scena davanti a degli operatori. In quest’ottica c’è una meritocrazia. Manca però il passaggio dopo, quando un operatore ti vede manca la distribuzione dello spettacolo, un circuito che aiuti a far girare meglio gli spettacoli. La visibilità si può ottenere, ma manca la produzione. Non sono sicuro che i migliori spettacoli vengano prodotti proprio perché manca anche un circuito che aiuti a produrre, a creare degli spettacoli molto più completi. Esistono tante compagnie che cercano di fare il meglio che possono coi pochi mezzi a loro disposizione, presumo che i migliori siano quelli riescono a resistere e andare avanti. Quindi probabilmente il concetto meritocratico nel teatro italiano non c’è. Ma i problemi sono anche tanti altri.

Quali?
È proprio complicato portare in giro uno spettacolo senza mezzi, senza sostegni. Noi per fortuna siamo sostenuti da Campo Teatrale che ci viene incontro. Questo non basta per il numero di compagnie che ci sono, non basta perché portare in giro uno spettacolo è molto complesso. Anche per chi ha scenografie minime girare il territorio ha dei costi, i teatri hanno sempre meno possibilità di pagare su cachet e questo provoca enormi difficoltà.

Nel prossimo spettacolo concluderete la Trilogia Distopica?
Vogliamo completare ufficialmente la trilogia. L’anno prossimo presenteremo il nuovo spettacolo
che ora è in fase di pre produzione. Si intitolerà “Cthulhu for president”. Cthulhu è uno dei personaggi creati da H.P. Lovecratf nella sua mitologia cosmica, per cui tutto lo spettacolo è in realtà un omaggio a Lovecraft, autore che a noi è molto caro. Sarà ambientato in un presente distopico. Sarà il capitolo più oscuro e concluderà la Trilogia Distopica. Dopo l’idea è di cambiare registro anche se non abbiamo ancora deciso su quale andare.

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