
Il 23 ottobre ha debuttato al Teatro Elfo/Puccini di Milano il Festival MILANoLTRE, intitolato Dal bacino del Mediterraneo alla Via della seta.
Noi di MilanoTeatri vi segnaliamo un atteso, soprattutto gradito, ritorno; la Compagnie Hervé Koubi con un trittico mozzafiato:
Les nuits barbares ou les premiers matins du monde definito dalla stampa internazionale «spettacolare, sublime, e superlativo». Una coreografia che unisce la potenza della parata da guerra, la precisione di un balletto classico, al suono della musica sacra di Mozart e Fauré, miscelata con melodie tradizionali algerine.
Ce que le jour doit à la nuit, un giovane algerino che impara a conoscere e amare il suo paese natale, colonizzato. Tra giochi di luce e la musica che lascia immaginare legami tra le culture.
Boys don’t cry, storia di un ragazzo che odia profondamente il calcio e adora appassionatamente la danza, rappresentato in scena da sette giovani ballerini, tra hip-hop, street dance e danza contemporanea. Viene presentato a MILANoLTRE in prima assoluta nella nuova versione in italiano.
Grazie allo strepitoso successo di pubblico e critica dello spettacolo (io l’ho tanto amato e come me molti appassionati di danza contemporanea) Les nuits barbares ou les premiers matins du monde, che andremo a rivedere il primo di ottobre, ho contattato il coreografo Hervé Koubi e gli ho chiesto quando nasce e perché “Les nuits barbares ou les premiers matins du monde”?
Nasce da un mio interesse personale sulla storia del mediterraneo che aveva già attirato la mia attenzione in un precedente lavoro.
Con Les nuits barbares ou les premiers matins du monde ho voluto andare a fondo attraverso uno sguardo più singolare sulle civiltà dette ‘barbare’ del mediterraneo, ma che di barbaro hanno solo il nome. La parola barbaro veniva usata quasi come un insulto, ma dietro queste civiltà si nascondevano persone molto brillanti e noi, senza saperlo, abbiamo ereditato questo.
Il ‘barbaro’, inteso come straniero che non parla la nostra lingua, può essere una fonte di ricchezza nella nostra storia odierna. Questa parola… barbaro, per me, possiede due eccezioni del termine; un senso storico e un senso più legato all’attualità.
Io stesso sono nato tra due rive del mediterraneo, in un immenso incrocio di razze, e contrariamente a quanto si possa pensare (che tutti gli abitanti dell’Africa del Nord abbiano la pelle olivastra) io avevo/ho la pelle chiara. E se ho la pelle chiara è perché popoli ‘barbari’ sono fuggiti dall’Europa!
Perché ancora oggi la gente ha paura dello ‘straniero’?
Ottima domanda!
Si ha sempre paura di quello che non si conosce.
Forse questa domanda potrebbe essere dimostrata scientificamente: quando non conosciamo, abbiamo paura. È nella nostra più profonda natura, odiare chi non è come noi, o perlomeno, di avere questo primordiale istinto.
Credo che civilizzarsi significhi anche lottare contro queste paure istintive che ritornano dopo essersi assopite nei nostri cervelli proprio perché si ha paura di quello che non si conosce.
Un popolo civile, se ci consideriamo tale, deve essere capace di andare oltre questa paura… oso sperare!
Ma perché abbiamo paura dello straniero?
Forse perché abbiamo paura di mettere in discussione il nostro credo più profondo, confrontare queste paure con altre credenze, credenze che potrebbero forse sradicare le nostre certezze…
È così confortevole stare bene con le proprie idee, specialmente non interrogarle.
Sono molto attento sulla questione di appartenenza.
Sono di origine algerina, per me una ricchezza, non una rivendicazione. Odio il ripiego su di sé. Diffido anche quando si vuole salvaguardare una cultura regionale, una lingua, un repertorio musicale, una danza o dei costumi tradizionali… tutto questo è molto bello e va fatto, certo, ovviamente ma sono molto prudente, perplesso e reticente quando tutto questo viene ‘rivendicato’ e che l’appartenenza diventa quello che sono io rispetto a quello che non è l’altro.
Sogno una forma d’arte che assembli e per assemblare ho bisogno dello ‘straniero’. Ho bisogno di cercare la mia inspirazione grazie a queste persone. Per questo motivo i miei ballerini, circa una ventina, devono provenire da nazionalità differenti. All’interno della mia compagnia ci sono tutte le religioni del bacino del mediterraneo, non le cito, ma sapere di avere nei miei spettacoli nazioni differenti che ballano assieme, nazioni che si suppone debbano fare la guerra tra loro, sapere che l’arte, la danza, la musica forse anche lo sport possano permettersi di unirsi io lo trovo formidabile, a differenza dei nostri politici che non riescono a fare tutto questo!
Ma non credo di aver risposto alla tua domanda sullo straniero, vero? Comunque sì, principalmente è perché si ha paura.
Quindi la diversità implica ricchezza, non indebolimento…
Certo. Anzi invertirei la domanda, se posso permettermi.
Penso che la ricchezza sia la diversità. Ed è una forza.
A tutte quelle persone che non la pensano come noi, assistere allo spettacolo “Les nuits barbares ou les premiers matins du monde” potrà essere uno strumento per riflettere e mettere in dubbio alcune certezze basate su null’altro che ancestrali pregiudizi?
Si!
Non sono qui per dare lezioni, non è il mio ruolo. Per contro, condivido tutto quello che mi fa vibrare e quello che mi fa vibrare è questa situazione. L’appartenenza è più antica delle nazioni, più antica delle religioni ed è una ricchezza che mostra chi siamo.
Ovviamente le persone che vengono a vedere un mio spettacolo sono di larghe vedute, però mi farebbe piacere continuare a scuoterle perché bisogna interrogarsi sulle nostre appartenenze, interrogare i nostri pregiudizi, le nostre frontiere geografiche ma anche ideologiche e politiche. Bisogna interrogarle e accettarle.
Ma soprattutto non mi stancherò mai di dirlo; interrogarle!
Quant’è importante andare oltre gli stereotipi per Kervé Koubi?
Ti faccio una premessa…
Non sono mai stato un ragazzino come gli altri e non starò qui a fare autoanalisi di quello che sono stato e di quello che sono oggi.
Ogni artista, per me, ha la sua singolarità e non ho la pretesa di dire che come artista io sia più singolare degli altri. Oggi faccio fatica a sentirmi parte del mio territorio, che è la Francia il paese dove i miei genitori, lasciata l’Algeria, mi hanno messo al mondo, mi hanno dato un nome francese, mi hanno fatto crescere e studiare per farmi diventare un medico.
Per loro era molto importante tutto questo.
Mi chiedi quant’è importante superare gli stereotipi?… a volte ho come l’impressione che mi si chieda di essere lo stereotipo di me stesso. Non ho voglia di rientrare in uno stereotipo, ho voglia di essere libero. Gli stereotipi vanno superati e con la mia arte spero e aspiro a superarli.
Il primo di ottobre a fine serata quale speranza vorresti infondere agli spettatori dopo aver assistito a “Les nuits barbares ou les premiers matins du monde”?
Mi piace! Ti risponderò in disordine, però.
La prima risposta, per non ripetermi con quello che ho detto finora, è trasmettere la voglia di ballare. Emozionare, per me è importante. Mi tocca molto quando le persone escono, da un mio spettacolo, commosse o cambiate. Può sembrare pretenzioso, ma è bello quando accade e spero accada anche il primo di ottobre.
Ogni messa in scena è un momento unico anche se lo spettacolo è lo stesso. Con “Les nuits barbares ou les premiers matins du monde” abbiamo fatto circa 300 repliche, ogni replica è un importante appuntamento e sono sempre molto attento come possa accoglierlo il pubblico, anche perché non si tratta di uno spettacolo dove i ballerini salgono sul palco solo per esibirsi.
Mi piace quando riesco a fare risuonare quello che sento e quello che potrebbe sentire il pubblico.
Mi piace mettere in ascolto il pubblico e i ballerini.
Questo è quello che vorrei, fare in modo che il pubblico entri in sintonia con lo spettacolo…
Poi vorrei che si pongano delle domande, sulla questione che accennavo con il barbaro ad inizio intervista, e che possano dire:
“sì effettivamente è vero… questo spettacolo mi ricorda che ho anch’io un nonno di una tal nazionalità che vive in Russia, che ho una zia che proviene dalla Turchia o dalla Spagna…”
Così ci si rende conto che le frontiere sono… sfuocate e che il mare mediterraneo (il mare nostrum) è territorio comune dove abbiamo avuto tutti più o meno sangue romano, greco, turco, magrebino, arabo… o barbaro. E tutto questo è una ricchezza.
Les nuits barbares ou les premiers matins du monde nasce per ricordarci che il barbaro è anche lui un nostro antenato.
Tu, invece, cosa ti porti a casa grazie a “Les nuits barbares ou les premiers matins du monde”?
Non mi porto dietro niente, per il semplice motivo che in ognuno dei miei spettacoli metto tutto, metto tutto e quindi non porto via niente. Porto tutto o niente. Ci metto tutto il mio cuore, ci lascio la mia salute.
Con “Les nuits barbares ou les premiers matins du monde” ho passato 3 anni della mia vita senza dormire. La Francia era sotto attacco degli estremisti, che sono il cancro delle religioni secondo me. Stavamo attraversando un momento drammatico ed io avevo bisogno di un soggetto oscuro, che poi ho identificato nel barbaro e la questione dell’appartenenza.
Per 2 o 3 anni prima di andare a dormire avevo un nodo allo stomaco e mi interrogavo su come potevo mettere assieme tutto questo.
Ci sono opere che si creano con molta facilità e opere che necessitano di un vero e proprio parto. Creare “Les nuits barbares ou les premiers matins du monde” è stato un parto, per la difficoltà nel realizzarlo.
Ma facile o difficile nelle mie opere metto tutto me stesso, è solo una questione di cammino e quando creo una coreografia inizio un cammino con i miei ballerini e quando tocco un tema mi ci metto dentro interamente.
Il due ottobre in scena “Ce que le jour doit à la nuit”. Cos’è che il giorno deve alla notte per Hervé Koubi?
Le retrevouilles avec l’Algérie. La riconciliazione!
Io non sono nato in Algeria, i miei genitori non mi ci hanno mai portato.
Ci sono andato io per incontrare i ballerini che avevo scelto, con i quali non sapevo se avremmo fatto più o meno un lungo percorso assieme. Di fatto il percorso c’è stato.
“Ce que le jour doit à la nuit” è una creazione della quale sono molto fiero e che porta un nome in Italia che è “Eldine”, un nome arabo che vuol dire “il debito”.
Si può tornare a casa e alle proprie origini grazie alla danza?
Si può fare tutto con la danza.
Ma non direi le nostre origini legate all’identità, alla cultura, alla civiltà.
La danza e la musica sono arti primarie, forse come il disegno. Non so cosa sia arrivato prima. Forse la danza è arrivata prima del linguaggio, questo me lo chiedo spesso. Perché la danza è un linguaggio. Il linguaggio della parola con la parola. La musica e la danza ci ha fatto muovere. E quindi sì, la danza se consideriamo la danza da questo punto di vista, è un ritorno alle origini. Danzare è il ritorno a quello che siamo in quanto esseri umani.
Quanto sono importante le luci e la musica in uno spettacolo come “Ce que le jour doit à la nuit”?
La luce è importantissima!
Ho uno sguardo molto attento per quanto riguarda le luci, chiaramente non voglio pretendere di essere io a realizzare un disegno luci. Ma sono molto tignoso con il direttore delle luci.
Non illumino mai i miei ballerini di fronte, mai. Mai. È estremamente raro.
Ci sarà un’eccezione nella mia ultimissima creazione dove illuminerò di fronte, ma in generale non lo faccio mai.
Per “Ce que le jour doit à la nuit” abbiamo disegnato un contro-luce per creare il giorno nella notte e che mi ha permesso di dare un senso ad un’opera che si chiama “ce que le jour…” e la seguente “le nuits…”.
La musica è potente, è il motore con il quale amo muovermi.
Non inserisco mai una musica su di una mia coreografia. Chiedo sempre ai miei ballerini di svegliare un senso supplementare in loro, essere in ascolto gli uni con gli altri, essere in ascolto della musica e di surfare sulla musica come sopra un’onda. Sono io che creo l’onda, in un certo senso, e i miei ballerini ci surfano sopra.
Sono molto intransigente sulla qualità del movimento e sulla tecnica. L’ascolto fra i miei ballerini deve essere preciso. Spesso lascio che si prendano delle libertà, questa libertà permetterà loro di ballare assieme affinché possano entrare nella musica e non sulla musica.
Ho letto il libro “Ce que le jour doit à la nuit” di Yasmina Khadra (pseudonimo di Mohamed Moulessehoul scrittore stimato e apprezzato nel mondo nato in Algeria)…
Che è diventato un amico fra l’altro.
L’ho talmente scocciato per prendere in prestito il titolo del suo libro che alla fine è diventato un mio amico. Un uomo formidabile, brillantissimo e un superbo scrittore. Sono molto onorato di poter rientrare fra i suoi amici, ma soprattutto sono un fan assoluto dei suoi romanzi, scrive molto bene.
…. Una volta terminato il libro, per giorni ho ripensato ai personaggi e all’ambientazione. Invece dopo la visione dello spettacolo “Ce que le jour doit à la nuit” con quale domanda vorresti che uscissi dal Teatro Elfo/Puccini?
Questo è il punto di partenza di “Ce que le jour doit à la nuit”.
La storia dell’eroe potrebbe essere la mia quanto quella di mio padre, o quella di mio nonno Yussef del quale parla “Ce que le jour doit à la nuit”. Questa storia di amore tra terre che non hanno potuto amarsi. Terre che si sono amate ma che alla fine si sono strappate, che si sono opposte cosi fra due rive del mediterraneo. Quando in verità sono inevitabilmente legate.
Ce que le jour doit à la nuit è una storia di amore e disamore.
Il titolo, per me, è una trasposizione di queste geografie che sono la Francia e l’Algeria, queste rive del mediterraneo che sono l’Europa e l’Africa del Nord, che inesorabilmente si sono amate e che, probabilmente, si amano ancora e per sempre.
Non c’erano altri titoli possibili per me, se non prendere in prestito il titolo del libro di Yasmina Kadra.
“Ce que le jour doit à la nuit” non si tratta di un adattamento del romanzo in coreografia, ma è stato un punto di partenza. Penso che Kadra con questa opera volesse cercare di evocare questa storia d’amore e tentare di riconciliarla.
Ecco!
Questo titolo mi permette di riconciliarmi prima di tutto con me stesso e con le mie origini. Non dobbiamo mai dimenticare che esistono storie d’amore che dobbiamo custodire in noi per andare avanti.
Per Hervé Koubi chi è davvero il protagonista di “Ce que le jour doit à la nuit”? È Younes o Yonas? È l’algerino o l’europeo il suo vero sé o forse sono entrambi?
Entrambe le cose.
La domanda è universale ed è per questo che è interessante e bella, e che merita di essere condivisa sui palchi in Europa e nel mondo. La mia storia ha a che fare con la Francia e l’Algeria, ma andando in America del Nord, dove abbiamo portato “Ce que le jour doit à la nuit” più di un centinaio di volte, la questione è la stessa per gli afroamericani. Ho un caro amico coreografo che è hawaiano e la questione si pone anche in questi termini. Cosa importa se per me ha a che fare con l’Algeria, sono domande che possono essere poste e che danno da pensare in qualsiasi posto del mondo, è questo che è interessante.
Il tre di ottobre chiude la trilogia al MILANoLTRE dedicata ai tuoi lavori lo spettacolo “Boys don’t cry”. La danza versus il calcio. Mi racconti cosa vuol dire per i 7 danzatori, ballare?
Beh bisognerebbe chiederlo a loro!
Metà del cast sono ballerini provenienti dal Maghreb e l’altra metà da tutt’altra parte nel mondo; francesi, italiani, russi, brasiliani, spagnoli. Ho scelto più maghrebini per cercare di ‘torcere il collo’ ai pregiudizi dei ballerini che hanno scelto di ballare in paesi dove la danza non è ben vista.
La danza è anche un atto di resistenza. E poi è una passione. Ma farne un mestiere, è anche un atto di resistenza.
Ognuno di loro ha la sua storia personale con la danza e ognuno ha il suo rapporto con la danza. Sono anche ballerini di strada, non hanno frequentato un’accademia, ed essere un artista remunerato non è sempre ben visto nei loro paesi. Nel Maghreb non è ben visto, per niente.
E questo è un atto di resistenza relativamente alle loro famiglie e al loro paese.
Domanda cattivella (se posso), tre spettacoli in scena, ma io me ne posso permettere solo uno. Quale non devo perdere assolutamente e perché?
Sono molto diversi tutti e tre!
“Boys don’t cry” è molto diverso da tutti gli altri, è un’opera metà parlata e metà danzata. Non posso rispondere a questa domanda perché come ho detto prima, metto tutto nei miei spettacoli.
Ti propongo di scegliere a caso, lanci un dado, giochi d’azzardo, e boom sarà questo qui.
E spero tu possa passare una bella serata con ognuno dei tre.
Ti posso però anticipare che “Boys don’t cry” è molto commovente.
(anche il direttore di MILANoLOTRE, Rino Achille De Pace, ce lo ha consigliato QUI )
Gli altri due spettacoli sono potenti.
“Les nuits barbares ou les premiers matins du monde” è un’opera che ha avuto molto successo in Italia.
Anche “Ce que le jour doit à la nuit” è potente, più luminosa a differenza di “Les nuits barbares ou les premiers matins du monde” che è più scura, ma questo non deve essere un problema, anzi.
Con “Boys don’t dry” i miei ballerini, io stesso e chi ha realizzato assieme a me la coreografia (uno dei miei ballerini, Fessal Hamlat) ci siamo messi (in senso figurato, ovviamente) a nudo.
È uno spettacolo con una costruzione veritevole, un’opera volutamente semplice, sincera e autentica.
Spero siano tutti autentici i miei spettacoli… come vedi sto cercando le parole, ma se ho scelto di ballare è perché uso poco le parole. Quindi non avendo le giuste parole ti dico di scegliere a caso.
(secondo me la favella non gli manca, voi che ne dite?)
Ancora oggi c’è molta confusione a causa dell’emergenza sanitaria mondiale…
Oh lala, spero che ne usciremo soprattutto.
A quelle persone che hanno paura di chiudersi all’interno di un teatro Hervé Koubi quale invito rivolgerebbe agli spettatori per tornare a teatro?
Questa epidemia ha fatto molte vittime, io non sono nessuno per dare raccomandazioni e forse di rischiare la propria vita nel caso in cui vengono a teatro e si ammalino.
Però se tutti noi facciamo attenzione, rispettiamo le regole anti-covid e si ci vacciniamo… non c’è nessun rischio.
In Italia, come in Francia e ovunque nel mondo, i teatri stanno attuando regole sanitare molto severe. Credo che non ci sia nessun rischio, mi sento di dire questo, ma soprattutto:
“Venite, venite, venite”
Ti va di dare l’appuntamento con i tuoi spettacoli a MILANoLTRE?
Certo!
Siamo stati accolti calorosamente nella passata stagione a Milano. Il direttore e tutta la sua squadra sono formidabili. Ho fatto il giro del mondo e ho incontrato molti direttori di teatro, ma Rino della Pace è tra i più appassionati (il suo è un super festival, che difende in modo appassionato) e mi onora il poter essere invitato nuovamente a MILANoLTRE e sono molto felice di fare parte di quegli artisti che ama e che vuole difendere.
Dunque sì vi do appuntamento con tutta la squadra di MILANoLTRE e spero siate numerosissimi anche quest’anno. Lo scorso anno era tutto sold out, nel rispetto delle regole sanitarie, una sedia su due era vuota, ma era tutto pieno quindi non vedo l’ora di ritrovarvi.
Anzi, spero questa volta non avremo più bisogno di limitare la capienza per permettere di accogliere più persone possibili!
Purtroppo anche questa volta dovrebbero esserci le limitazioni, forse a breve cambieranno le regole ma per intanto vi consiglio di affrettarvi perché molti spettacoli sono già sold out. Questo fa ben sperare ad una ripresa del nostro tanto amato Teatro e della danza contemporanea in Italia.
Ringrazio Hervé Koubi per la lunga chiacchiera, ma soprattutto per aver accettato il mio invito a differenza di tanti artisti italiani che spesso si lamentano che i media non parlino di danza contemporanea, ma sono i primi (una volta contattati) a non parlare dei loro spettacoli. L’importante è abbattere ogni tipo di pregiudizio, vero?…
Un grazie speciale va a Roberta Cagliani, per la traduzione dal francese, senza di lei non ci sarei mai riuscito.
venerdì 1 ottobre 2021 – ore 20:30
LES NUITS BARBARES OU LES PREMIERS MATINS DU MONDE
Teatro Elfo/Puccini – Milano
SALA SHAKESPEARE
coreografia Hervé Koubi
danzatori Adil Bousbara – Mohammed Elhilali – Abdelghani Ferradji – Zakaria Nail Ghezal – Oualid Guennoun (option) – Bendehiba Maamar – Nadjib Meherhera – Mourad Messaoud – Houssni Mijem – Ismail Oubbajaddi – El Houssaini Zahid – Tomi Cinej – Vladimir Gruev – Chaker Ferradji – Pasquale Fortunato
sabato 2 ottobre 2021 – ore 20:30
CE QUE LE JOUR DOIT À LA NUIT
Teatro Elfo/Puccini – Milano
SALA SHAKESPEARE
coreografia Hervé Koubi
danzatori Adil Bousbara – Mohammed Elhilali – Abdelghani Ferradji – Zakaria Nail Ghezal – Oualid Guennoun – Bendehiba Maamar – Nadjib Meherhera – Mourad Messaoud – Houssni Mijem – Ismail Oubbajaddi – El Houssaini Zahid – Tomi Cinej – Vladimir Gruev – Chaker Ferradji – Pasquale Fortunato
domenica 3 ottobre 2021 – ore 16:00
BOYS DON’T CRY
Teatro Elfo/Puccini – Milano
SALA SHAKESPEARE
coreografia Hervé Koubi – Fayçal Hamlat
interpreti Mohammed Elhilali, Zakaria Nail Ghezal, Bendehiba Maamar, Nadjib Meherhera, Mourad Messaoud, Houssni Mijem, El Houssaini Zahid
Buona Festival a tutti!
TiTo
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