
Fino a domenica 2 aprile il Teatro Menotti ospita “Prometeoedio” tratto dalla tragedia di Eschilo e portato in scena dal Teatro della Tosse di Genova.
Per conoscere meglio lo spettacolo abbiamo intervistato il regista Emanuele Conte.
Benvenuto Emanuele e ben tornato a Milano con questo nuovo spettacolo per il pubblico milanese che va a chiudere la tua cosiddetta trilogia del potere. Come è nato questo progetto?
E’ nato un po’ per gradi, in realtà il terzo capitolo avrebbe dovuto essere “Ubu re”, ma ho capito che dovevamo chiudere con qualcos’altro. Il primo è capitolo è stato Antigone di Anouilh quindi la ribellione a un potere costituito, il confronto tra chi il potere lo vuole conservare e chi invece ribaltarlo. Il secondo è stato Caligola di Camus, cioè il potere che si ribella a se stesso. Prometeo, invece, è la ribellione al potere più grande che si possa immaginare, quello degli dei. Mi è sembrata la conclusione più giusta per questo percorso.
Come hai affrontato l’adattamento da Eschilo?
Innanzitutto studiandolo bene ti rendi conto di quanto sia in qualche modo fragile il Prometeo di Eschilo e, tra l’altro, si tratta di un attribuzione senza nessuna certezza. Per questo motivo il mio approccio è stato molto libero, all’inizio ho cercato di lavorare col testo originale ma ho avuto grosse perplessità sia per il linguaggio sia per i contenuti. Per questo motivo ho capito che avrei dovuto riscriverlo soprattutto per quanto riguarda il linguaggio in modo da renderlo più fluido e adatto a uno spettatore contemporaneo.
Dove in modo particolare hai trovato l’attualità di Prometeo?
Per me è stata l’occasione per rendere omaggio all’essere umano perché sono stufo di sentire parlare degli uomini soltanto per i loro aspetti deteriori. Questo Prometeo che sfida Zeus e rinuncia all’immortalità per abbracciare la causa dell’uomo mi è sembrato un bellissimo tema.
Cosa possiamo dire della scenografia che a primo impatto sembra molto imponente?
E’ imponente ma al tempo stesso semplice. L’escamotage drammaturgico di Eschilo è straordinario e geniale cioè avere il protagonista dell’opera inchiodato a una roccia per l’intera durata del dramma, un’idea potente e in qualche modo ripresa da Beckett con “Giorni felici”. Nella nostra scenografia la roccia è sostituita dal ferro, una griglia sulla quale Prometeo è praticamente crocifisso. Abbiamo costruito una parete di griglie di ferro che praticamente annulla il palco e dà alla messa in scena una grande potenza. In fondo Prometeo è una sorta di dio punk in quanto si ribella all’ordine costituito delle cose.
Il Teatro della Tosse viene spesso in trasferta a Milano, che idea hai del panorama teatrale milanese?
E’ un panorama complesso e in evoluzione che in qualche modo rispecchia le problematiche dell’ultima normativa sul teatro. Vedo più teatri lavorare sullo stesso pubblico e più o meno in modo analogo. Questo fa sì che per altri teatri più piccoli o che fanno solo produzione si creino poche possibilità. A Milano arriva tutto il meglio del teatro italiano e non solo, c’è tanta competizione e questo è un bene per gli spettatori ma dall’altro lato è pericoloso perché tutti i teatri si trovano con lo stesso obiettivo: quello di produrre il più possibile. Si lavora principalmente per scambio e questo non fa bene al teatro, alle compagnie più piccole e a quelle di produzione. Non girano più gli spettacoli migliori, ma gli spettacoli di chi può ospitare e a questo punto a cosa servono i centri di produzione? Si tratta di una normativa aberrante e pericolosa.
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