
Giovanile, spensierato, generoso. Con questi tre aggettivi la Treccani definisce il termine goliardico e la Compagnia Goliardica Mario Baistrocchi li incarna tutti e tre.
Giovanile e spensierata perché c’è sempre voglia di ridere, scherzare e sdrammatizzare. Generosa perché per la Bai il fine benefico è fondamentale e gli incassi degli spettacoli verranno devoluti (togliendo le spese) all’associazione Gigi Ghirotti che si occupa di assistenza socio-sanitaria per persone che necessitano di cure palliative.
Dopo praticamente due anni di stop la voglia di tornare in scena era tantissima e, come ci ha raccontato il regista Edoardo Quistelli, i due obiettivi del nuovo spettacolo erano sdrammatizzare il difficile periodo pandemico e omaggiare una grande regina dello spettacolo italiano che ci ha lasciato nel 2021. Così nasce “Carramba! Che tampone”. Il Carramba di Raffaella Carrà unito al tampone che è tristemente entrato a far parte della vita di tutti i giorni negli ultimi due anni.
Gli omaggi della Baistrocchi non si limitano però alla mitica Raffaella, “Carramba! Che Tampone” celebra il teatro di rivista italiano ad esempio riproponendo un classico dell’avanspettacolo come l’equivoco della casa d’appuntamenti trasformata in studio dentistico resa famosa da Lino Bandi e Gigi Reder in “Vieni avanti cretino”. Non manca poi il richiamo a un’altra grande stella dello spettacolo recentemente scomparsa, Monica Vitti, ricordata con la colonna sonora di “Polvere di stelle” capolavoro del cinema italiano che racconta proprio la storia di una compagna d’avanspettacolo.
Citazioni a parte il nuovo spettacolo della Bai è vivace e scoppiettante, regala due ore di divertimento che in questo periodo così buio fanno solo bene al cuore. Alcune scene fanno cadere il pubblico dalla poltrona per la loro ilarità, su tutte il goffo tentativo del ministro Speranza-Quistelli (la satira politica non può mancare in questo genere di show) di spiegare le regole della quarantena sfociando nella geometria pitagorica. Scenografie e luci valorizzano perfettamente il palco, le coreografie di Alessandra Zaniratti risultano molto coinvolgenti con una citazione speciale per il balletto classico e per il mix tra Can Can e Tuca Tuca. Spazio anche alla musica di oggi con il trio Fedez-Lauro-Berti e la hit “Mille”.
Tanti complimenti al regista Quistelli e al presidente Osvaldo Olivari per la gestione di questo bellissimo gruppo eterogeno. Entrambi poi fanno centro anche sul palco, il primo spaziando tra parti maschili e parti femminili con grande agilità, il secondo conquistando il pubblico nel fondamentale ruolo di Raffaella Carrà. Stupisce poi il giornalista Paolo Colombo che dalla giacca del telegiornale passa al reggiseno e alla parrucca di Lilly Gruber dimostrando di saperci fare anche come attore. Battuta sempr pronta per Francesco Mantignone chiamato a inserire un po’ di milanesità coi suoi taaaac e ottima presenza scenica per Matteo Delfino. Non ha invece bisogno di parlare Stefano Manzini per conquistarsi la simpatia del pubblico, le sue movenze e le sue espressioni sono sufficienti per strappare una risata.
La Baistrocchi dà l’impressione di essere una grande famiglia che va dai 18 ai 60 anni e oltre dove le matricole sono pronte ad imparare dai più esperti e quest’ultimi felici di condividere la loro esperienza. Ognuno fa la sua parte e questo rende la macchina vincente. Una delle caratteristiche principali del teatro è la sua ritualità, nel caso della Bai questo aspetto diventa ancora più accentuato con tanto di inno dei goliardi ad aprire gli spettacoli. Il pubblico lo sa e partecipa religiosamente al rito di una compagnia fondata nel 1913 che meriterebbe un museo tutto suo per raccontare una storia lunga 109 anni e legata a doppio filo con la città di Genova ma al tempo stesso d’esempio per tutto il teatro italiano. Basta pensare ai grandi nomi passati da qui come Popi Perani, Enzo Tortora e Paolo Villaggio.
Quindi, nella speranza di poterli ospitare anche a Milano, diciamo “Forza Bai” perché il 2023 sta arrivando e sarà sicuramente l’anno del 110 e lode.
Ivan Filannino
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