
La personale di Saverio La Ruina organizzata al Teatro Menotti di Milano non poteva non inserire in programma “Dissonorata”, spettacolo che nel 2007 portò l’artista calabrese a vincere il Premio Ubu come miglior attore e come miglior testo italiano.
L’opera si avvicina a compiere i 15 anni, ma non perde minimamente il suo splendore rimanendo una perla del teatro italiano contemporaneo. La Ruina si presenta sul palco con la tipica veste da signora di una certa età, si siede sulla sedia e, nei panni di Pascalina, inizia a raccontare la sua storia. A far tutto ci pensano le parole, i gesti e le espressioni dell’attore per un’interpretazione che merita tutti i premi ricevuti.
Il pubblico viene così catapultato in Calabria nel dopo guerra per vivere le emozioni e le paure di una ragazzina cresciuta in un’epoca e in una zona dove essere donna voleva dire essere considerata un gradino sotto, dove la nascita di un figlio maschio era una festa, quella di una femmina una sfortuna. Il cuntu di Saverio La Ruina è ipnotizzante, nella prima parte si ascolta una storia come tante di una ragazza che sogna il matrimonio, perché per la società dell’epoca solo da sposata una donna poteva essere rispettata e non più additata come “zitellona” o peggio ancora come “putt…”.
Un racconto che nella sua semplicità riesce ad attirare su di sé tutta l’attenzione necessaria, il testo è in grado di esprimere benissimo i sentimenti di Pascalina e al tempo stesso descrive un ambiente dove i genitori risultano essere i gli unici esempi di vita, dove le figlie devono sposarsi in ordine di età e soprattutto dove fare buona impressione è la cosa più importante. Con tutta la sua ingenuità la ragazza racconta l’emozioni del primo incontro con l’innamorato, poi il primo bacio e le promesse di matrimonio. Agli occhi del pubblico del 2021 però quel racconto fiabesco appare subito ingannevole e anche la musica dal vivo di Gianfranco De Franco riesce perfettamente a sottolineare come la fiaba sia prossima a trasformarsi in incubo.
Ciò che segue è un dramma familiare sconfitto solo dal miracolo di una nuova vita. Ciò che viene visto come disonore si trasforma nell’amore di una madre per il figlio. Saverio La Ruina parla di come le donne vivevano fino a qualche decennio fa nel Sud in Italia, donne vittime degli uomini con episodi che purtroppo giungono anche sui giornali dei giorni nostri. L’ultimo in ordine di tempo risale a pochi mesi fa con la morte di Saman, ragazza pakistana uccisa in Emilia dalla sua stessa famiglia probabilmente perché non accettava il matrimonio che le era stato organizzato. Quello di La Ruina è un racconto e uno spunto di riflessione, il compito di denuncia e sdegno viene lasciato a chi guarda.
L’uso del dialetto calabrese è inevitabile per questo spettacolo ma la storia rimane comunque comprensibile e i suoi richiami ironici vengono facilmente colti dalla platea. Il resto del giudizio sta nella standing ovation riservata all’attore a fine spettacolo, segno che, anche dopo quasi quindici anni, di questo racconto si continua a sentirne il bisogno.
Ivan Filannino
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