
Di spettacoli in cui il pubblico viene invitato a salire sul palco, ormai, ne abbiamo visti parecchi.
Abbiamo anche già provato la sensazione di ascoltare gli attori attraverso delle cuffie e di venire coinvolti in prima persona.
Ma nell’interessante lavoro di Marco Cacciola e Tindaro Granata, Farsi Silenzio, in scena a Campo Teatrale fino al 18 febbraio, succede qualcosa di diverso, di particolare.
Quello che accade è la narrazione di un racconto reale che entra in cuffia e si confonde con i suoni e le voci registrate.
Il protagonista e attore unico parla CON il pubblico e non AL pubblico e lo fa con una modalità del tutto informale.
Le parole e i suoni coinvolgono lo spettatore nel racconto come succederebbe in una delle performance dei Rimini Protokoll ma, a deferenza del gruppo tedesco, i due autori decidono di pulire il più possibile, fino all’essenziale, ciò che si ascolta. Ci sono molti momenti di silenzio, anche lunghi, come quando il protagonista si prende il tempo di guardare tutti gli spettatori, uno per uno, negli occhi.
I suoni sono quelli della città, dei luoghi che lui ha attraversato, le voci delle persone che ha intervistato e, da ultimo, anche i suoni del pubblico presente.
L’origine di tutto è una domanda filosofica importante che Cacciola si pone e per cercare di rispondere decide di fare una cosa decisamente particolare. Inizia un lungo viaggio a piedi, da Torino a Roma, chiedendo a chiunque incontri COS’E’ IL SACRO.
Parte con una grande aspettativa e cioè quella di trovare persone che possano dargli delle risposte meravigliose e da queste risposte poterne far nascere uno spettacolo altrettanto meraviglioso. Non vuole solo risposte scontate legate alla religiosità ma che abbraccino tutti gli ambiti della vita.
Parte da Torino incontrando una persona che lui pensa possa essere quella perfetta per dargli il giusto input, il poeta e autore teatrale Antonio Tarantino.
Da questo momento, però, inizia il fallimento. Suo e del progetto.
Crollano tutte le aspettative e le persone che lui incontra, Tarantino compreso, non gli danno le risposte che si aspettava e tutto il viaggio non è così entusiasmante come lui si era immaginato. Tutt’altro. Si sente fallito, sente che quest’ avventura, questo progetto, non gli sta dando quella meraviglia che lui voleva trovare e, arrivato a casa sua, a Piacenza, complice un dolore ad una gamba, vorrebbe quasi abbandonare l’impresa.
Decide, però, di proseguire il viaggio ma con una nuova modalità, senza più aspettative, prendendo tutto ciò che naturalmente gli arriva. Così l’attore fa alzare il pubblico, lo invita ad uscire, gli fa ascoltare i suoni della città e sembra che voglia accompagnarlo in un breve viaggio, magari nei dintorni del teatro, per fargli assaporare almeno un po’ quella sensazione che lui stesso ha provato durante il suo cammino. Sembra che stia per iniziare la vera meraviglia.
Solo che Cacciola questa meraviglia non ce la regala, si ferma prima, invita tutti a rientrare, e poco dopo interrompe lo spettacolo dicendo che quelle cose non le può raccontare. E’ qui che lo spettacolo dovrebbe veramente iniziare e, invece, lui lascia tutti a bocca asciutta. Forse per far vivere anche al pubblico quel fallimento che ha provato lui. Forse perché, come dice lui stesso, “questo potrebbe non essere uno spettacolo e mai diventarlo”.
Francesca Tall
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