
KARMAFULMINIEN – COMICISSIMA STORIA DI TRE FIGLI DI PUTTINI
Una nebbia densa accoglie gli spettatori al loro ingresso nella sala di Campo Teatrale. Un luogo – non luogo nel quale, nel volgere di pochi attimi, faranno la loro comparsa tre angeli. Valigia in mano (non siamo che una breve parentesi nel loro infinito viaggio) e, per il resto, ignudi come mamma li ha fatti, con le sole mani a protezione delle vergogne. Un po’ per goliardia, un po’ per provocazione, un po’ perché gli angeli, per loro natura, amano viaggiare nudi, un po’ perché quella nudità (che durerà per tutto lo spettacolo – saranno ben pochi i centimetri di stoffa che andranno a proteggere i corpi dei tre) è già di per sé rappresentazione di un significato: l’obiettivo è infatti quello di dare uno sguardo all’uomo contemporaneo, immerso in un’epoca che fa della pornografia dei sentimenti e della confusione spirituale, che spesso si traduce anche in mercificazione del corpo, le leve della propria quotidianità.
Non ingannino, però, queste premesse “alte”. L’obiettivo dichiarato della compagnia Generazione Disagio (qui alle prese con il suo secondo lavoro, dopo il successo inimmaginabile di Dopodichè stasera mi butto) è quello di ridere e di far ridere fino allo sfinimento di questa nostra misera condizione.
Miseri noi, sì, e miserrimi loro, questi tre angeli che tutto sembrano fuorché angeli. Sporchi, cattivi, incazzati, pessimisti, cinici. E come potrebbe essere altrimenti, visto che il loro mestiere consiste nell’assorbire tutte le brutture e le angosce della società per trasformarli in bellezza? Complessi in amplessi e fobie in fiabe, così recita il programma di sala.
Enrico Pittaluga, Graziano Sirressi e Luca Mammoli, diretti da Riccardo Pippa, danno vita e sfogo ad una serie di sketch cattivissimi e comicissimi, in una sorta di esperimento di stand-up collettivo, donandosi al pubblico e al pubblico chiedendo doni. Infatti, come già avveniva nel precedente spettacolo, anche il pubblico è parte integrante della drammaturgia, chiamato frequentemente in causa (o addirittura chiamato sul palco) per partecipare a riti (SPUDORATISSIMI riti) di purificazione o, semplicemente, per concedere agli angeli qualche momento di relax e benessere. C’è l’angelo che trae godimento dalla contemplazione di un pasciuto signore dormiente, quello che preferisce la tradizionale bella ragazza, quello che invece trova pace nella visione di due anziani seduti. Tutti sul palco, attori tra gli attori.
L’affiatamento tra i tre è evidente e di alto livello. Si ride tanto, insomma, anzi tantissimo, anche se non tutto gira alla perfezione. La ricerca costante di un ritmo frenetico non fa godere del tutto la brillantissima drammaturgia, le tematiche affrontate rimangono sempre le stesse e c’è forse un eccesso di strizzate d’occhio al pubblico facile facile, per intenderci quello (numericamente consistente) che ancora ride quando un momento di finta tensione sul palco è accompagnato dalle note di Così parlò Zarathustra, di Strauss, dal film 2001 Odissea nello Spazio. E tutto questo (nonostante, beninteso, si esca da teatro largamente soddisfatti) non consente a quelle premesse “alte”, di cui si parlava in apertura, di arrivare fino in fondo.
E questo è un po’ un motivo di dispiacere, perché l’impressione netta è che regista e attori abbiano qualcosa di veramente importante da raccontarci, con questo o con futuri spettacoli, e che il loro sguardo sull’uomo e sulla società abbia il potenziale per spingere l’asticella ancora più in alto, senza rinunciare all’esplosività comica ma semplicemente registrando il bilancino tra concessione e intenti.
Massimiliano Coralli
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