“Che roba vecchia il ‘900” dice il ‘menestrello’ ai piedi del palco del Piccolo Teatro Grassi.
Effettivamente viste da un ragazzo cresciuto nell’era degli smartphone certe diapositive degli anni ’70 potrebbero sembrare pezzi di medioevo e, se non fosse per la loro preparazione, probabilmente potrebbero pensarlo anche i membri del cast de “La classe operaia va in paradiso”, tutti nati dopo il 1971 anno d’uscita dell’omonimo film di Elio Petri e Ugo Pirro vincitore della Palma d’oro a Cannes.
La versione teatrale prodotta da Ert Emilia Romagna e realizzata da Paolo Di Paolo e Claudio Longhi, che ha debuttato a Modena lo scorso 31 gennaio, arriva finalmente a Milano riempiendo la sala del Piccolo Teatro Grassi con molteplici spunti di riflessione.
Cercare confronti tra gli attori del ’71 al cinema e quelli di oggi a teatro risulterebbe un esercizio a dir poco inutile soprattutto nel caso dei due protagonisti Gian Maria Volontè e Lino Guanciale. Possiamo e dobbiamo, però, dire che la prova di Guanciale merita dal primo all’ultimo gli applausi ricevuti, rispetto alla pellicola il suo Lulù Massa da una parte rende meno evidente la propria alienazione dalla società dall’altra è altrettanto forte di personalità. L’istrionico protagonista non è solo, la prova di tutto il cast va sottolineata, un’ottima squadra formata da Donatella Allegro, Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Simone Francia, Diana Manea, Eugenio Papalia, Franca Penone, Simone Tangolo.
L’opera è un chiaro omaggio al film, tanto che gran parte dei dialoghi appartengono alla sceneggiatura originale. Non manca nemmeno la riproposizione di alcune scene del lungometraggio proiettate sul maxischermo alle spalle degli attori, in modo particolare gli ultimi minuti del film e quei titoli di coda che vengono più volte mostrati sulle splendide note di Ennio Morricone.
Di Paolo e Longhi, giustamente, vogliono lasciare anche la loro firma e lo spettacolo non si limita a riproporre una storia vista sul grande schermo, ma si moltiplica aprendo le porte al metateatro con regista e sceneggiatore impegnati nella realizzazione del film, passando dagli anni ’70 ai giorni nostri, offrendo al pubblico un “narratore cantante”, uscendo dal palco per inglobare l’intero teatro, trasformando la platea in un circolo dove discutere del film appena proiettato. Il rischio di voler esagerare nel lasciare un’impronta personale e non farsi semplicemente trascinare dalla pellicola è grande, ma viene superato brillantemente. Tanti i livelli e gli intrecci in quest’opera che vuole disperatamente abbattere la quarta parete e finisce col riuscirci proprio come fa concretamente Lino Guanciale nell’ultima scena.
C’è un grande lavoro dietro a questo spettacolo, lo si nota già dalla scenografia di Guia Buzzi, anche lei parte del progetto culturale Carissimi Padri come la maggioranza del gruppo. Tra le diverse scene proposte quella che ovviamente colpisce è l’interno della fabbrica B.A.N. con l’immancabile catena di montaggio emblema del settore secondario.
Due ore e mezza intense e mai pesanti che permettono risate pirandelliane nelle scene al manicomio e profonde riflessioni soprattutto coi monologhi finali. I salti tra passato e presente sono continui e in questo caso non si può non notare il confronto tra due generazioni, partendo ovviamente dal mondo del lavoro. Si parla dei problemi alla prostata di un operaio, ma si ricorda anche l’episodio ben più recente di una cassiera che si fa la pipì addosso, si parla di industrie metalmeccaniche ma si citano anche Amazon, Ilva, Coop e i call center. Sono davvero tanti i confronti possibili, tutti presentati in modo neutrale e lasciando allo spettatore l’eventuale libertà di schierarsi. Vediamo i lavoratori di ieri e quelli di oggi, le musiche del maestro Morricone e quelle eseguite dal vivo dal bravissimo Filippo Zattini, gli studenti incendiari che chiedono l’abolizione del cottimo, i sindacati pompieri che vogliono più soldi per il cottimo ben differenti da studenti e sindacati attuali. E forse è proprio questo continuo affiancamento tra passato e presente ad essere l’arma vincente de “La classe operaia va in paradiso” uno spettacolo che diventa attuale proprio messo in relazione alla cartina al tornasole di oggi.
e non dimenticate che macchina più attenzione uguale produzione. Buon lavoro.
Ivan Filannino
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