Recensione: “Settimo cielo”

settimo cielo
foto Futura Tittaferrante

Va in scena al Teatro Elfo Puccini lo spettacolo “Settimo cielo” di Caryl Churchill. La regia e la messa in scena è di Giorgina Pi.
La sfida era difficile e coraggiosa con un testo dove tutto è il contrario di tutto. I temi principali sono quelli cari all’autrice: Sesso e Potere. Lo spettacolo è diviso in due parti di un’ora ciascuno. Al centro c’è una famiglia posta in due periodi storici come fossero mondi paralleli dove il tempo ha regole completamente diverse.

La prima parte si svolge in una atipica città coloniale inglese nel 1879. Un padre con la moglie, un figlio, un servo di colore, un avventuriero. Ma come accennato, in questo testo, tutto è il contrario di tutto. I ruoli sono mescolati, l’identità etnica e sessuale scombinata ridefinendo i termini della realtà visiva e creando una prima frattura formale per lo spettatore. Ognuno di loro lotta con la propria cercando di nasconderla o forzarla per poi viverla in segreto. Chi cerca la propria identità sessuale, chi sociale. Chi entrambi o chi si perde. Tutto è nascosto sotto una coltre di perbenismo apparente che rimane in superficie solo per non forzare una normalità che vedeva l’indigeno come uno schiavo, un animale di compagnia di cui poter disporre e l’omosessualità come un crimine.

Nella seconda parte siamo nella Londra del 1979, anno in cui è stato scritto il testo. La famiglia fa un balzo di cento anni, mentre gli attori si mischiano nuovamente i ruoli. Questa volta l’identità sessuale è espressa in modo estremo, quasi in confusione tra limiti presunti e sbiaditi. Eppure sembrano cambiare forma ma non la sostanza. Come se l’imprinting derivato dal passato non fosse mai stato debellato o affrontato. Come se in questa lotta personale altre cose fossero sfuggite.

Una libertà inquieta che rimbalza da un rapporto all’altro, con una vita fatta di precarietà e poca, se non nessuna, visione o speranza del futuro. Tutto accade qui e ora. Esiste solo il tempo presente.
Quello che domina in questo testo è l’estremo desiderio di essere. Questo però rimane bloccato in dinamiche individualiste che ritornano in forma ciclica sempre agli stessi errori. Il vero tema è la società frammentata o ipocrita che sembra vincolarci a ribellioni estetiche ma mai sostanziali.

Durante lo spettacolo i linguaggi utilizzati sono molti e, anche in questo caso, shakerati. Musical, movimento, arte visiva. La scena è molto evocativa e gli attori Marco Cavalcoli, Sylvia De Fanti, Tania Garribba, Lorenzo Parrotto, Aurora Peres, Alessandro Riceci e Marco Spiga, riescono a reggere con estrema bravura una macchina registica complessa a orologeria. Non perdono un colpo e si trasformano in un momento.

Fa impressione come i temi degli anni 70 restino attuali, come se nulla fosse andato avanti, se non la tecnologia.

Michele Ciardulli

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