Recensione: “Tu es libre”

tu es libre
foto Simona Bassi

VEDASI ALLA VOCE “LIBERTÀ”

“Tu es libre”, ossia “Tu sei libero”: il titolo dello spettacolo che è in scena al Teatro I fino all’11 dicembre introduce immediatamente lo spettatore al tema principale della pièce, ossia la libertà… ma di quale libertà stiamo parlando? Che cos’è la libertà?

È questa la domanda che si e ci pone l’autrice Francesca Garolla la quale con questo testo, scritto durante due residenze artistiche presso La Chartreuse – Centre National des écritures du spectacle di Villeneuve Lez Avignon, è arrivata finalista al Premio Riccione 2017.

Tanti hanno affrontato la questione della libertà nei più svariati ambiti – politico, filosofico, artistico – stavolta è stata declinata trattando un argomento di cronaca, attuale e scottante: la scelta compiuta dai foreign fighters, ossia quelle persone cresciute e integrate nelle nostre città di Paesi occidentali che in questi ultimi anni si sono unite di propria sponte al terrorismo islamico e a Daesh.

L’idea in realtà è stata “concepita” nel 2014, quando ancora non erano avvenuti i primi attentati in Francia (l’irruzione nella redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo risale all’8 gennaio 2015) ma il fenomeno già esisteva e, di lì a pochi mesi, concetti come “confine”, “guerra”, “nemico” sarebbero dovuti cambiare di fronte ai fatti accaduti (non a caso questo spettacolo rientra nel progetto Fabulamundi. Playwriting Europe – Beyond borders?). Dichiara Francesca Garolla: “Ho iniziato a pensare che, oltre ad essere potenziali vittime, potessimo diventare anche potenziali carnefici (…) Tu es libre si interroga su questo: sulla libertà di scegliere qualunque cosa, anche qualcosa di incomprensibile o condannabile.”
In effetti nessuno dei personaggi, nemmeno l’autrice presente in scena, riesce a intendere e ad accettare la scelta di Haner, giovane e brillante studentessa francese che decide di partire per la Siria.

La madre, il padre, l’innamorato e l’amica di Haner si chiedono a posteriori che cosa sia successo e perché abbia fatto una scelta del genere, quasi negano sia possibile, ognuno tenta di fornire la propria parziale e inesatta “verità”, mentono perfino a se stessi, increduli di fronte a una decisione che risulta per loro al di là di ogni comprensione. Oltre le dichiarazioni e le testimonianze su Haner rilasciate dai personaggi durante un’intervista / indagine / interrogatorio, i flashback riportano al presente i momenti che fanno da tappa nella presa di coscienza della ragazza. Lei non ha origini mediorientali, non è un’immigrata, non è un’emarginata, non è stata manipolata e non è pazza, semplicemente è libera ed è disposta ad esercitare la propria libertà anche violando i limiti suggeriti dall’etica e dalla morale, esattamente come hanno fatto altre giovani donne occidentali che hanno raggiunto le fila di Daesh… e loro sono reali, non una metafora teatrale. Questa storia però non fa riferimento soltanto agli eventi contemporanei legati al movimento islamico, si affaccia infatti dall’antichità un altro racconto, un altro mito, un altro personaggio: Andromaca, la sposa del troiano Ettore. Il nome Andromaca, cui tra l’altro si ispira quello della protagonista, deriva da due termini greci: ἀνήρ (uomo, combattente) e μάχη (battaglia). Ovviamente non è un caso: Andromaca, apparentemente ai margini delle grandi battaglie dell’Iliade, apparentemente vittima fragile e indifesa, apparentemente comparsa relegata in secondo piano in quanto donna, in realtà è una combattente determinata, silenziosa magari ma non per questo meno incisiva, madre che accudisce il figlio e intanto guerriera che sprona alla lotta.

In un’intervista Garolla commenta: “Haner vede in Andromaca un altro modo di intendere la guerra: una guerra in cui l’umanità non è perduta nella violenza, ma, anzi, consapevolmente responsabile di quella violenza. Una umanità per cui la libertà è senza confini, non è risolta nella dicotomia tra bene e male, una libertà che allinea il valore della vita a quello della morte. Una libertà che comprende tutto, come tutto comprende la figura di Andromaca: amore e violenza, vita e morte.”.

Insomma, una drammaturgia complessa ricca di immagini che mescola classico e contemporaneo per un argomento complesso ed estremamente delicato che va sviscerato senza cedere al didascalico. Il regista Renzo Martinelli ne è consapevole e affronta la sfida imposta dal materiale scegliendo una dimensione corale – tante voci, tanti punti di vista – affidata ad un valido e convincente gruppo di attori: Liliana Benini, Maria Caggianelli, Francesca Garolla, Viola Graziosi, Alberto Malanchino, Alberto Onofrietti (struggente nel finale).

Gli effetti sonori prodotti dai riverberi e dai suoni distorti del microfono (Giuseppe Ielasi), lo spazio asettico e spoglio, il piano luci diviso tra neon, penombre e fari accecanti in controluce (un plauso a Mattia De Pace), i costumi essenziali (Laura Claus) tutto concorre a creare una situazione quasi estraniante, spiacevole, in cui emerge con evidenza lo stato di sofferenza e disagio che i personaggi provano scontrandosi con questa vicenda… tutti eccetto Haner, che appare serena, soddisfatta del proprio cammino, pronta a sostenere il peso della propria scelta di libertà.

Noi pubblico, invece, ne siamo capaci? O come gli altri personaggi assistiamo sgomenti alla decisione di questa donna empatica, intelligente, libera che si sente a tal punto coinvolta nella guerra di cui leggiamo sui giornali da voler andare in prima linea e, chissà, forse farsi esplodere in uno dei nostri supermercati?

È difficile, discutibile, scandaloso ed è forse anche per questo motivo che le note di sala sono così approfondite e importanti per addentrarsi nello spettacolo, d’altronde l’autrice e il regista sono consci della proposta impegnativa che stanno offrendo al pubblico e, assumendosi una precisa responsabilità, chiedono a gran voce alle nostre coscienze: “Noi sappiamo accettare una libertà per cui la vita non è necessariamente un valore? Una libertà per cui l’individuo non è bene prezioso da difendere, ma solo funzione o frammento di una comunità? Noi pensiamo di essere liberi, ma sappiamo accettare che l’altro sia davvero libero di scegliere?”
Al di là della risposta che ognuno di noi può dare, è utile domandarselo.

Marzorati

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