Recensione: “Uno spettacolo di fantascienza”

Foto Giulia Di Vitantonio


Non ci sono certezze in “Uno spettacolo di fantascienza” di Liv Ferrachiati, in scena al Teatro India di Roma fino al 23 aprile. Sin dal primo momento in cui si stringe in mano il foglio di sala, si viene avvisati che quel testo, una volta letto, non sarà più un foglio di sala, ma forse semplice carta straccia. Poi ci sono gli annunci prima dello spettacolo che adornano l’ovvietà dello “spegnete i cellulari” con avvertimenti su animali tondi tondi e possibili dispercezioni visive cromatiche, che al momento, non si afferra minimamente cosa siano. E poi c’è lo spettacolo che parla di un trasloco dei trichechi dal polo Nord in scioglimento, al polo Sud. O forse parla di una coppia e di un bambin* in arrivo. O forse di un abruzzese che mangia gli arrosticini. Insomma Liv Ferracchiati continua nel suo percorso di precarizzazione delle certezze umane, di cui l’identità di genere è solo una di quelle messe in discussione in questo spettacolo che prosegue la sua riflessione sulla definizione di un sé autentico, già avviata con la Trilogia dell’identità.

Una storia di fondo in realtà c’è, o almeno sembra esserci. Una nave rompighiaccio è in viaggio dal polo Nord verso il polo Sud, con una stiva piena di trichechi da salvare dallo scongelamento dei ghiacciai e tre improbabili marinai a guidarla. Lo spettacolo di fantascienza racconta quindi della fine del mondo e delle sue emergenze, anche se sin dall’inizio viene il dubbio che non sia esattamente questa la storia che Liv assieme a una energica e determinata Petra Valentini e un autoironico e ammaliante Andra Cosentino propongono. Il dubbio viene quando si passa in un istante dal ponte della nave-salva trichechi al salotto quasi tipico di una famiglia borghese (ad un certo punto nevica nell’appartamento, ma non tutti i personaggi ne rimangono stupiti), giunge il tentennamento quando lo stesso Ferracchiati ammette che il ghiaccio che stiamo guardando non è ghiaccio, le certezze crollano quando si scopre che la pancia di una donna incinta non è una vera pancia, o forse sì?


Insomma la trama non è una certezza, come non lo sono i dialoghi che giocano continuamente e sapientemente tra finzione scenica e ammissioni di realtà. In mezzo a molte risate, ci si fa così cullare dalle musiche e dai suoni di Giacomo Agnifili, lasciandosi guidare nel gioco dalle scenografie di Lucia Menegazzo in questo spettacolo che è in realtà una ossimorica profonda-leggera riflessione sulle “convenzioni”. Il mondo sta finendo quindi una delle più grandi certezze/convenzioni dell’umanità si sta sgretolando (il progresso poteva solo progredire). Allo stesso modo, il racconto sembra suggerire che forse dovrebbe sgretolarsi o essere messa in discussione un’altra presunta gande certezza dell’essere umano: la propria identità o quella che Ferracchiati definisce la propria “provvisorietà identitaria”. Il suo personaggio (o forse lui stesso?) a un certo punto esclama: “Abbiamo scelto male le nostre convenzioni”.


Ed eccola qui l’essenza di questo spettacolo che in modo leggero vuole lasciarci andare a casa con una domanda che potrebbe in realtà schiacciarci: la nostra identità è solo un’errata convenzione? Eccola la provocazione per cui ci si lascia trasportare in questo gioco di illusioni e disvelamenti che ci sottraggono certezze nel momento esatto in cui ci vengono date. Un abruzzese sedicente tipico uomo caucasico saluta tutti facendo l’uncinetto (una convenzione che non lo faccia?). Un sedicente uomo open-minded viene provocato a baciare un altro uomo molto più open-minded (ma è davvero un bacio tra due uomini?). Una sedicente mamma ammette di aver finto la maternità (ma forse è davvero una mamma?). Insomma, tutte le convenzioni che salgono sul palco, ne ridiscendono confuse e forse distorte allenando la mente a pensare che ciò che è certo forse così certo non lo è, e magari non è neanche un gran dramma. Perché l’altro talento di questo spettacolo è indurci alla riflessione e al ragionamento in mezzo a tante risate.


Ecco perché vale la pena di andare a vedere questo spettacolo. Per esercitarsi a dubitare, senza prendersi troppo sul serio. E poi perché alla fine Ferracchiati paga il tributo al proprio pubblico e riannodando le fila dello spettacolo, i tre protagonisti provano a chiudere le varie storie che si sono aperte lungo un’ora e mezza di racconto. Almeno provano a farlo fino a quando si accorgono che nulla possono davanti alla saggezza dei trichechi a cui viene lasciata la parola finale (grazie alla bellissima voce di Emilia Soldati). Perché alla fine la rompighiaccio li ha salvati tutti e 333 i trichechi. O forse no?

uno spettacolo di Liv Ferracchiati
con (in ordine alfabetico) Andrea CosentinoLiv Ferracchiati e Petra Valentini
aiuto regia Anna Zanetti
dramaturg di scena Giulio Sonno

scene e costumi Lucia Menegazzo – disegno luci Lucio Diana – suono Giacomo Agnifili
lettore collaboratore Emilia Soldati

Produzione Marche Teatro – CSS Teatro Stabile d’Innovazione del FVG

Teatro Metastasio di Prato | Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini 

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