“È come febbre l’amor mio e sempre anela
quel che più a lungo il mio mal fomenta,
nutrendosi di ciò che il dolor rinforza
per appagare solo un morboso desiderio.
La mia ragione, medico devoto del mio amore,
furente che le sue prescrizion sian trascurate,
mi ha lasciato e disperato ormai mi accorgo
che è morte il desiderio che la mente rifiutava.
Sono senza aiuto, or che ragion più non provvede
e pazzo frenetico sempre in maggior delirio;
i miei pensieri e le parole sono frutto di follia,
vanamente farneticanti lontane da realtà:
perché ti ho giurato pura e creduto bella,
nera sei come l’inferno, fosca come la notte.”
La stagione teatrale del Teatro Oscar, che quest’anno si concentra sul tema della follia, vede in scena, dal 29 al 31 ottobre, ShakEspeareSonnEts: un omaggio alla poesia di Shakespeare.
Molte sono le occasioni di godere a teatro della magia e della grandezza del drammaturgo inglese ma più rare sono le occasioni di vedere una rappresentazione e una lettura scenica dei sonetti, l’altro lato della produzione shakespeariana, meno conosciuta ma degna della stessa attenzione.
La produzione dei sonetti risale al periodo tra il 1606 e il 1610 quando una terribile peste obbligò Londra a chiudere i teatri e sospendere le rappresentazioni. Questo il periodo in cui Shakespeare si dedicò ai sonetti scrivendone ben 154.
La regia e l’interpretazione di Alessandro Pazzi restituiscono al pubblico un raro momento di poesia e di conoscenza del lato di Shakespeare più intimo, più umano, se vogliamo molto più vicino a noi. La scelta cade su 30 sonetti i cui versi sono completamente dedicati all’amore. Non che Shakespeare non abbia parlato d’amore: Romeo e Giulietta, Ermia e Lisandro, Otello e Desdemona e così via per ogni sua singola tragedia e commedia. Ma questo amore è privato e va oltre la finzione e i personaggi. È Shakespeare che vediamo condotto in scena con delicatezza e con parole diverse da quelle che utilizzeremmo oggi ma con lo stesso trasporto e sentimento che risulta essere sempre attuale. Metafore incantevoli che quasi si riescono a visualizzare e a rammentare nel proprio vissuto privato.
La messa in scena sembra semplice ma non è così: due sedie vuote richiamano i diversi amori del Bardo e aleggia come per incanto la sua presenza quasi come se i versi fosse l’autore a leggerceli. Un’arpa sul palco non accompagna la lettura ma intermezza i sonetti stessi concedendoci il tempo di riflettere, di emozionarci perché si ha bisogno di fermarsi un attimo con se stessi per un confronto con la nostra idea di amore e perché no con i nostri amori presenti, passati e con quelli che aneliamo per il nostro futuro.
Alessandro Pazzi con la sua voce sicura e potente e Alessandra De Stefano all’arpa creano un’atmosfera che sa di sacro e l’immortalità che può appartenere all’amore vince su tutto, prepotentemente. E Shakespeare sulle labbra ti diventa semplicemente William.
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