Con l’illusorietà di genere, con cagionevole delicatezza e conseguente brutalità antropologica, Iaia Forte racconta in Tony Pagoda. Ritorno in Italia l’anti-eroe che tanto anti forse non è più.
Sotto mentite spoglie, immersa in una scenografia fulgente, decadente, sospinta dalle coreografie di Anna Redi, con una recitazione virtuosamente pervicace Iaia Forte interpreta le insidie della grottesca deformità dell’aderenza a un canone, seppur auto consapevole.
Affabulatore epilettico, sniffatore neutralizzato, cantilenante partenopeo, Pagoda è ratifica di svuotamenti sociali contaminati dall’ontologia stessa del soggetto e dell’oggetto di denuncia. In perfetta aderenza al quanto mai veritiero portrait dell’italiano tratteggiato da Flaiano, Pagoda è <<maestro nel raggiro, nello sberleffo, non è cartesiano. [..] Affronta la vita bizzarramente, surtout à Naples. Sostanzialmente povero e ozioso, superficialmente eroico e sentimentale >>.
Vincente è l’intermittenza abbondante di Francesca Montanino che incarna con coscienza e in successione fantomatiche donne accomunante tutte da un ingrediente: fortificare il cinismo saggiamente interpretato dalla Forte.
L’ispirazione alla cifra lenta e canzonatoria di Servillo in L’uomo in più riesce sicuramente in un buon risultato ma, seppur funzionale, non risulta inaspettata.
Lo spettacolo risulta essere l’applicazione registica di una delle tecniche retoriche svelata e brandita dal protagonista neomelodico: procede per aggettivi producendo una seduzione e scongiurando il rischio della noia dato dell’incedere sostantivato. Procede verso la chiave che abilita alla libertà – la stanchezza – col rischio, però, di divenirne schiavi.
Alessandra Cutillo
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