
Ci sono periodi storici che segnano il futuro molto più profondamente di altri, e che riescono a farsi ricordare e raccontare molto più a lungo, sopravvivendo a se stessi per ricomparire nelle epoche successive.
“Dita di Dama” è innanzitutto la storia di una donna, Maria, aspirante dattilografa, ma finita a fare l’operaia perché così aveva deciso il padre; esatto, una storia di operai, e già a questo punto si potrebbe cominciare ad immaginare il solito racconto di sfruttamento e perdita di sé, tra le mura di una fabbrica, negli anni di lotta di classe, a cavallo tra il 1969 ed il 1971.
Invece no: le operaie, Maria e le sue colleghe, le sue amiche, sono donne felici, che convivono con la fatica del lavoro e dell’oppressione, ma non rinunciano mai all’aspirazione verso un futuro migliore, verso un giorno in cui anche gli operai, e, soprattutto, le operaie, potranno lavorare con gioia e passione, per un lavoro che è parte della loro essenza.
Per i personaggi la condizione operaia non è una sofferenza, quel male di lavorare delle pagine del diario di Simone Weil (intitolato “La Condizione Operaia”, appunto): dopo i primi tempi duri, Maria vive una maturazione che la porta a diventare fieramente portavoce delle sue compagne, del suo popolo, di donne che difendono i propri ideali di socialismo (“andiamo a fare il socialismo” è uno dei tanti motti di Nina, una delle colleghe di Maria), ma il lavoro e la lotta non comportano una rinuncia alla vita privata, fatta del matrimonio di Paola, della famiglia di Assunta, e della travagliata storia d’amore tra la protagonista Maria e Beppe, un marcatempo, tassello fondamentale per il controllo del “Padrone” sulle operaie.
Cornice di tutto questo è l’amicizia tra Maria e Francesca, che accompagna tutta la storia e ci pone di fronte alla natura più intima di Maria.
Una nota di merito va anche all’attrice/narratrice dello spettacolo, Laura Pozone, capace di immergersi profondamente in ciò che racconta, trasformando un monologo teatrale in un quadro di vita, dimostrando un’eccezionale capacità di racconto e di espressione, dando ad ogni personaggio un accento specifico, una posa particolare, un timbro vocale diverso, con un’abilità davanti alla quale non si può che rispondere con meritati applausi.
Un pezzo della storia del nostro paese, in scena al Teatro della Cooperativa dal 18 al 27 maggio.
Manuele Oliveri
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