Giuseppe Amato, Alice Melloni, Denis Fontanari e Paola Mitri di ariaTeatro sono gli straordinari interpreti di My Romantic History, una commedia dell’autore scozzese Daniel C. Jackson.
Classe 1980, Jackson ci mette brutalmente faccia a faccia con i 30-35enni del suo paese, mostrandoci una realtà che, però, di romantico non ha proprio nulla. Soprattutto per quanto riguarda i due protagonisti principali, Tom e Amy.
Interno, giorno: siamo in un ufficio e Tom (Giuseppe Amato) è al suo primo giorno di lavoro, e subito viene trascinato nella spirale delle dinamiche e delle abitudini degli altri impiegati d’azienda, per i quali l’attività principale pare essere trovare qualcuno con cui divertirsi per una sera, dal punto di vista degli uomini, o qualcuno con cui iniziare una relazione, dal punto di vista delle donne.
In tutto ciò il romanticismo è svanito, tutte le azioni sono guidate dal bisogno assoluto di avere qualcuno accanto, in un modo o in un altro, perché essere soli è una sorta di onta, di devalorizzazione del sé, di mancato riconoscimento. E allora bisogna per forza essere in coppia, non importa se poi non si ha nulla in comune o da dirsi, salviamo le apparenze e sfuggiamo la solitudine perché fa paura, abbruttisce, intristisce, e ci fa sentire esclusi.
Tutti si rinchiudono nel pub il venerdì dopo il lavoro ad affogare le frustrazioni personali nell’alcol, e da questo stesso traggono il coraggio per farsi vedere brillanti agli occhi del nuovo arrivato in azienda, e in generale di tutti gli altri. Amy (Alice Melloni) forza le cose e alla fine passa la notte con Tom, però il giorno dopo l’imbarazzo è soffocante, gli argomenti sono esauriti come pure la spinta emotiva della sera precedente.
A salvare la situazione fortunatamente è l’ironia di Jackson, che mette in bocca agli interpreti battute e riflessioni dal simpatico all’ingenuo al cinico, in un ritmo incalzante che tiene viva l’attenzione, e i veloci cambi di ambientazione, anche solo metaforicamente, regalano il giusto dinamismo ad una storia di giovani disincantati.
L’elemento che rende il tutto più godibile, e viene ottimamente interpretato e reso vivo, è il punto di vista maschile e femminile della relazione tra Amy e Tom; a turno i due protagonisti ci raccontano la loro versione e si raccontano a noi, arricchendo la narrazione con continui flashback che ci aiutano a definire un po’ meglio entrambi i personaggi e il loro sentito, risultato delle esperienze che hanno vissuto fino a quel momento.
Tom è il più leggero, si lascia un po’ trascinare dagli eventi e si guarda anche intorno al di là della frequentazione con Amy, portando nel cuore una delusione legata all’adolescenza che, crede, influenzi tutte le sue scelte in campo affettivo. Si riscatterà alla fine, prendendo coscienza delle sue azioni e responsabilità, e adottando un atteggiamento più maturo.
Amy ha in sé, contemporaneamente, un lato romantico e uno più disilluso, per cui spera nella realizzazione del suo sogno d’amore ma agisce come se non ci credesse affatto, e facendo scelte che non hanno proprio nulla a che fare con un ideale di vita felice. Con un approccio un po’ vittimistico e po’ responsabile nei confronti di ciò che le accade, ci risulta comunque più matura e forte di Tom, come in genere siamo portati a figurarci l’atteggiamento della donna.
Intorno ai due protagonisti gravitano altre due coppie di personaggi che fanno parte del loro presente e del loro passato, e ad un certo punto si crea una connessione fra i due piani, che ci vengono presentati per quasi tutto il tempo come paralleli, in quanto una figura proprio del passato si palesa nel presente; la rottura netta nella narrazione costringerà Amy ad una presa di coscienza della realtà che le farà cambiare la visione del presente con, forse, anche una proiezione un po’ più concreta del futuro.
Finisce bene o male questa storia? Forse non è questa la cosa importante, il focus va sulla visione della vita di questi giovani trentenni inseriti in un sistema come fossero ingranaggi, alienati forse dalla routine e, probabilmente, dalla mancanza di reali passioni ed interessi; il tutto si riduce ad un’idea di coppia e di famiglia come unica ricetta per la felicità totale e la realizzazione di sé. Ma è davvero così?
Proviamo a porci realmente la domanda ascoltando la risposta che viene dal nostro intimo più profondo: potremmo sorprenderci di noi stessi.
Olga Bordoni
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