Per poter comprendere e valutare alcune storie, è necessario conoscere la Storia. Altrimenti si corre il rischio di prendere per buono qualcosa che può essere al massimo verosimile, ma non del tutto vero.
E’ il caso de “L’editore”, presentato in questi giorni, e fino al 23 dicembre, al teatro Out Off. Uno spettacolo destinato a far discutere, come previsto anche nella nostra rubrica “Una settimana spettacolare”.
L’editore in questione è Giangiacomo Feltrinelli e la tesi di fondo, tutt’altro che nuova e improbabile, è che Osvaldo (nome di battaglia di Feltrinelli) si sia fatto saltare in aria da solo, per un tragico errore, mentre cercava di preparare un attentato che avrebbe dovuto lasciare al buio Milano. Fin qui nulla da dire. Sulla questione si è dibattuto per decenni (errore o omicidio?) e, senz’altro, la conclusione più probabile a cui si può giungere è proprio quella del fatale incidente. Il problema qui è che l’avallo definitivo a questa teoria (addirittura definito come “verità”), sulla quale alcuni militanti di sinistra ancora non si danno pace, viene affidato ad un nastro, realmente esistito, ritrovato nel 1974 in un covo delle BR, nel quale un complice di Feltrinelli confessa e testimonia l’incidente, escludendo l’ipotesi omicidio.
Ed è qui che entra in gioco la Storia. Ciò che fu ritrovato in quel covo è tutt’ora oggetto di analisi e dubbi. Nel covo di Robbiano di Mediglia trovano posto, ad esempio, controinchieste che rivelano una collaborazione anarco – fascista nella strage di Piazza Fontana (tesi ampiamente smentita da ogni inchiesta giudiziaria, sebbene scaltramente ritirata fuori dal furbo giornalista Cucchiarelli esattamente nel 40° anniversario della strage, 2009) e relazioni che ci rivelano il suicidio dell’anarchico Pinelli (e qui la smentita è arrivata non solo dalle inchieste ma dagli stessi poliziotti presenti nella stanza). Insomma, sembrerebbe essere di fronte più ad una serie di documenti costruiti ad hoc per avallare talune teorie che non ad un archivio di affidabile valore storico. Tanto più che tutti quei documenti sono stati inspiegabilmente distrutti nel 1992, senza lasciare copie. Certamente non qualcosa a cui affidare la verità definitiva di una vicenda intricata come quella di Feltrinelli.
Questo è il peccato capitale dello spettacolo, che prende le mosse dall’omonimo libro di Nanni Balestrini, uno che quegli anni li ha vissuti con straordinaria intensità e dal quale ci si sarebbe aspettati una lettura più limpida.
Ed è un peccato vero, perché lo spettacolo (assolutamente da vedere) ha tantissimi punti di forza. La regia di Lorenzo Loris è sobria ma efficacissima, pulita nei cambi scena frequenti e vivaci, ben integrati nel racconto. Alessandro Tinelli crea un disegno luci che restituisce un’idea di clandestinità e polvere, ma con quel tocco di poesia che gli è abituale. E nella stessa drammaturgia troviamo passaggi assolutamente di valore, come l’intuizione del disfacimento dei rapporti umani in seguito alle crepe generate dalla vicenda Feltrinelli, che ha pesantemente intaccato molte solidissime convinzioni politiche, che di quei rapporti costituivano il principale collante. Ottima, anche se a volte un po’ didascalica, la scelta degli inserti video, prevalentemente costituiti da vecchi ritagli di giornale che contribuiscono ancora di più a restituirci quegli anni così pieni e vitali, quale che fosse la sponda politica di riferimento. E notevole il cast (anche se a volte un po’ eccessivo nei toni), all’interno del quale ci sentiamo di segnalare una splendida Emilia Scarpati Fanetti, sempre attenta, sempre presente, convincente sia nelle parti recitate che in quelle cantate.
Un’occasione persa, quindi? Tutt’altro. Nessuno ha in mano la chiave della Storia di quegli anni, né Balestrini, né Loris, né tanto meno chi vi scrive. E dunque ecco che “L’editore”, pur partendo da quel peccato di cui sopra, diventa uno spettacolo da vedere e forse anche rivedere perché, se ci si dota di una volontà critica, lo stimolo intellettuale è fortissimo, impossibile da ignorare. Uno di quegli spettacoli da vedere magari in gruppo, e per il quale litigare e discutere a sipario chiuso. E questa, se i greci, Shakespeare e Brecht ci hanno insegnato qualcosa, è la principale missione del teatro.
Massimiliano Coralli
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