L’ultimo valzer di Riccardo Rossi

life

Il palcoscenico è nudo. Solo un grosso schermo cinematografico pende dalle americane al centro della scena. Stiamo dunque per assistere ad un film, come testimoniano i titoli di testa che iniziano a scorrere al calare delle luci.

A sorpresa, al termine del lungo elenco di credits, la prima immagine che ci viene presentata è quella di una lapide, su cui campeggia il volto simpatico e familiare di Riccardo Rossi. Perché il film a cui stiamo per assistere non è altro che la traduzione scenica della vita dell’attore romano e quella lapide non può che esserne la conclusione, per lui e per tutti noi.

Inizia così “That’s life – questa è la vita”, presentato in questi giorni nella bella e lunga sala del Teatro Leonardo di Milano. L’attore entra in scena accompagnato dai consueti applausi preventivi, quegli applausi “sulla fiducia” che, chissà perché, fanno sempre da contorno all’ingresso sul palco degli attori noti più per la loro attività cine-televisiva che per quella teatrale. Ma Riccardo dimostra da subito di meritarli ampiamente, quegli applausi, e dopo la tradizionale presa di confidenza con il pubblico milanese, giocata su un divertente confronto tra la sua disastrata Roma e l’efficientissima Milano, ha inizio lo spettacolo vero e proprio.

Un atto unico diviso in tante piccole scene, ciascuna corrispondente ad una diversa fase della vita. Si viaggia così tutti insieme dall’età dell’innocenza, corrispondente all’infanzia e alla pubertà fino a quella dell’incoscienza, corrispondente agli anni indimenticabili dell’adolescenza, a cui evidentemente Riccardo è rimasto particolarmente legato, visto che proprio in questo frammento ci viene offerto uno dei migliori momenti comici dell’intero spettacolo (ce ne saranno moltissimi altri), nel ricordo – racconto degli spericolati viaggi Roma – Latina, 72 chilometri sulla Pontina, a bordo di un Ciao, facendo lo slalom tra buche e tir, senza casco, senza parabrezza, con la miscela di riserva imprudentemente conservata in una bottiglia nello zaino, senza alcuna valutazione del possibile effetto molotov.

E’ uno dei tanti modi in cui Rossi esorcizza il timore della morte, che poi è la principale paura di ciascuno di noi. Lo fa con la lapide iniziale, lo fa raccontando con ironia i momenti di vita in cui danzare con la morte era un divertente passatempo quotidiano (Pontina docet), lo fa posticipando l’inizio della fase della vecchiaia a 80 anni.

Ed è proprio nel racconto di quest’età che lo spettacolo ha un’improvvisa virata. Rossi è ancora molto lontano dagli 80 anni e quindi il suo racconto non può che spostarsi sull’osservazione di chi, vicino a lui, quell’età la sta attraversando. Riccardo si accomoda sulla poltrona rossa a bordo palco (unico altro elemento scenografico) e per un breve istante diventa suo padre, intento a contemplare inesistenti lucertole sul pavimento. Qui avviene quell’attimo di magia che solo il buon teatro sa creare. Per un attimo il respiro si sospende, le risate sfumano in una malinconica dissolvenza e qualcosa cambia nell’aria stessa che stiamo respirando. Ma dura troppo poco e dopo pochi secondi Rossi riprende il suo percorso comico, come un saltellante Benjamin Button, nell’abbraccio sicuro della risata e dell’aneddoto a buon mercato.

Ecco, forse questo è l’unico limite evidente dello spettacolo. Un testo molto ben scritto, che scivola abilmente tra clichè e trovate davvero esilaranti, avendo il buon gusto di non indugiare mai troppo a lungo né sull’una né sull’altra sponda, un testo che ha la capacità di far ridere (tanto ridere) e che lascia intuire anche un discreto potenziale drammatico. Potrebbe, insomma, anche commuovere, semplicemente trovando il coraggio di rimanere un po’ più a lungo nelle zone d’ombra della vita, che vengono invece solo sfiorate e subito scacciate via come fastidiose mosche.

Ma si tratta di un peccato veniale. Le due ore di spettacolo scorrono velocissime, senza mai annoiare, fino all’ultima scena, la più lunga, dedicata all’età reale dell’attore, i 50 anni (in realtà 54), fase che Riccardo intitola simbolicamente “L’ultimo valzer”, come ad indicare un’ultima possibilità di vivere realmente e al massimo potenziale. Si esce da teatro tra applausi sinceri ed affettuosi, con il sorriso stampato sul volto e con un senso di leggerezza addosso. E forse lo scopo era proprio questo.

Massimiliano Coralli

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