Il mese di giugno 2015 al Teatro Franco Parenti si chiude con uno spettacolo magistrale, delicato, poetico, che vede protagonista uno strepitoso Giorgio Albertazzi nei panni dell’Imperatore Adriano e nel racconto intimo ed emozionante della sua vita e della sua opera politica.
Lo spettacolo è tratto dall’omonimo e famoso romanzo della scrittrice Marguerite Yourcenar; concepito tra il 1924 e il 1929, fu pubblicato però solo 30 anni dopo, nel 1951. In esso – si cita – la scrittrice ha riassunto il meglio delle proprie esperienze di donna e di letterata offrendoci un’opera che è al tempo stesso poesia, saggio storico e romanzo. Questo lavoro, che ha richiesto una vita alla Yourcenar per essere completato, è altresì uno spettacolo che ancora oggi, dopo 26 anni di vita, continua ad appassionare ed emozionare con le sue 750 rappresentazioni e i suoi circa 700.000 spettatori. A questi numeri incredibili vorrei aggiungere i quasi 92 anni di uno splendido Giorgio Albertazzi, portati con grande classe ed ironia; la passione per il suo mestiere traspare da ogni gesto e da ogni parola, e la sua energia riempie la scena e abbraccia tutto il pubblico in un’armonia di emozioni che accarezza il cuore.
L’Imperatore Adriano Augusto è un personaggio perfetto per Albertazzi, così poetico e raffinato nel racconto della sua intensa vita e con uno sguardo sensibile e velato di malinconia verso ogni cosa. Adriano è anziano e con una malattia incurabile al cuore, e decide per questo motivo di raccontare la sua vita senza alcun filtro; la narrazione è in prima persona, sentita, vissuta sulla pelle e nell’intimo, e coinvolge, commuove, e accompagna in altri tempi e lidi. Siamo in Spagna, dove trascorre la sua fanciullezza tra battute di caccia e lunghe cavalcate; poi ad Atene, dove si trasferisce per completare i suoi studi, amante da sempre della lingua e della cultura greca, e delle arti in genere.
Durante un viaggio a Roma viene notato dall’Imperatore Traiano e reclutato nell’esercito imperiale che partirà per la conquista della Dacia; ci narra quindi il suo vissuto come guerriero ed il positivo evolversi del rapporto con l’Imperatore Traiano stesso, di cui sposerà la nipote. Il suo vero e profondo amore, però, sarà per un giovane di rara bellezza che incontrerà più avanti negli anni, Antinoo. Riparte per la guerra ma questa volta le atrocità commesse turberanno molto il suo animo; inizia a domandarsi, infatti, se sia davvero giusta la politica militare di Traiano che, prima di morire, lo nomina suo successore.
Da subito, quindi, Adriano cerca di stabilire la pace e intraprende riforme economiche e militari; è questo il momento in cui incontra Antinoo, splendido e timido ragazzo che ricambia il suo amore e con il quale passerà cinque anni della sua vita. Durante un viaggio in Egitto, infatti, il giovane deciderà di suicidarsi come sacrificio per poter cambiare il risultato infausto di alcune predizioni di una maga nei loro confronti: un supremo gesto d’amore verso Adriano. La narrazione di Albertazzi assume toni più grevi, la voce si rompe, e il trasporto del pubblico è totale.
Dolci versi cantati dal vivo e le apparizioni fugaci ma incisive degli altri attori rendono l’atmosfera ancora più toccante. Adriano ha sempre ritenuto Antinoo un essere divino: a lui consacra un tempio e farà costruire una città che porterà il suo nome, Antinopoli, così da renderlo definitivamente immortale insieme al suo amore. Il dolore della perdita però lo schiaccia e Adriano incomincia a percepire il peso degli anni e una certa fragilità emotiva; alla sua narrazione accompagna riflessioni ed intuizioni sulla vita e sull’essere umano così sensibili, intense e dal carattere universale da risultare ancora oggi fortemente valide. Albertazzi stesso afferma che le parole di Adriano assumono un significato nuovo e profondo che ci aiuta a riflettere sul nostro momento storico indicandoci, forse, uno spiraglio di speranza.
L’aggravarsi della malattia e la presa di coscienza che le sue opere e i suoi propositi di pace si siano rivelati vani ed infruttuosi porteranno Adriano a rinchiudersi, negli ultimi anni della sua esistenza, nella sua Villa a Tivoli circondato dalle statue del suo amato. Ma lì, all’avvicinarsi della morte, la visione delle vicende della vita e il comportamento degli uomini gli parranno poi più inconsistenti e, anzi, lucidamente arriverà a vedere i momenti di felicità e i progressi ottenuti con tanto lavoro come veri prodigi a compensazione di tutto il male, gli errori, l’incuria e gli insuccessi, e accetterà con pacata rassegnazione il suo destino.
“Memorie di Adriano” è un libro da leggere e uno spettacolo da vedere e rivedere, con un Albertazzi in perfetta armonia con l’Imperatore in tutta la sua forza, passione e delicatezza, e capace di regalare davvero un’emozione profonda e un rinnovato desiderio di bellezza. Esco dal Teatro Parenti felice, commossa e rigenerata da tanta grazia e poesia.
Olga Bordoni
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