È un Nerone che non ti aspetti quello che sale sul palco del Teatro Manzoni, non il pazzo sanguinario ricordato nell’immaginario comune, ma un uomo che ama la poesia e il teatro più del potere e che ama la sua compagna Poppea.
Eppure le parole “Nerone è pazzo, ha ucciso sua madre, sua moglie, suo fratello, ama il popolo, è l’anticristo, ci rovinerà tutti” ci accompagnano per tutto lo spettacolo venendo però negate da quello che si vede in scena.
Ad interpretare l’imperatore c’è il bravissimo Edoardo Sylos Labini anche autore dell’opera tratta da un saggio di Massimo Fini. Nerone indossa vestiti romani, Seneca e gli altri senatori sono invece in giacca e cravatta un evidente richiamo ai politici dei giorni nostri, anche i colleghi del 60 d.C. erano più interessati a conservare i propri privilegi piuttosto che a curare la “cosa pubblica”.
“Nerone – Duemila anni di calunnie” vuole riabilitare una figura che la storia ha sempre messo in cattiva luce mettendo in dubbio anche il matricidio di Agrippina e puntando il dito soprattutto contro Seneca. Non solo una pagina di storia, ma anche un elogio all’arte e al teatro in particolare.
Il potere logora chi non lo ha e corrompe chi lo tiene
La maestosa scenografia e le luci danno ancora più sfarzosità a questo spettacolo che ha anche il merito di omaggiare Gioachino Rossini riproponendo il brano “La calunnia è un venticello” tratto da “Il barbiere di Siviglia”.
Leave a Reply