
Roma, 16 marzo 1978, nel giorno del giuramento del Governo Andreotti IV, il primo dal dopoguerra ad avere il sostegno del Partito Comunista, un commando delle Brigate Rosse rapisce il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, uccidendo tutti i membri della sua scorta, inserendosi nel tragico periodo degli “Anni di Piombo”, anni in cui la violenza la fece da padrona nella vita degli italiani.
Proprio dal sequestro di Aldo Moro prende spunto “Piombo”, originale musical della compagnia “Odemà”, che cerca di tracciare un profilo della nostra nazione nei cinquantacinque giorni che portarono dal rapimento all’omicidio del presidente della DC.
Le vicende sono narrate dagli occhi di quattro protagonisti: Aldo Moro stesso, sua moglie Eleonora, il leader del commando delle Brigate Rosse Mario Moretti, ed una giovane brigatista, identificabile in Anna Laura Braghetti (proprietaria dell’appartamento in cui Moro fu detenuto); compare inoltre, prevalentemente in video, la figura di un giornalista televisivo, alle prese coi travagliati avvenimenti di quei giorni.
Tramite la musica, lo spettacolo espone in modo esemplare la psicologia dei personaggi, riuscendo a rappresentarli tutti come vittime della situazione politica, senza comunque per questo cadere nel revisionismo storico: riusciamo a vedere l’idealismo di Moretti, convinto oppositore dello stato e del capitalismo, coi quali cerca comunque un accordo fino all’ultimo, per evitare il peggio; vediamo anche l’insicurezza della Braghetti, piena di rabbia nei confronti del sistema, ma non pronta a versare il sangue di un uomo, ed il dramma familiare di Aldo e sua moglie, speranzosi fino all’ultimo di potersi ricongiungere.
La figura del giornalista funge da quadro complessivo a tutto questo, ponendoci di fronte all’inadeguatezza della politica, fallimentare nel cercare una soluzione al problema, con la complicità dei media, troppo sottomessi e timorosi per puntare il dito contro i colpevoli, preferendo rintanarsi nel silenzio.
Già, il silenzio, ciò che rimane dopo tutta la vicenda è il silenzio, lo status quo, e come ci dicono i personaggi stessi in chiusura: “il silenzio non vale niente, altro che mille parole”
Manuele Oliveri
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