
Il sogno di una cosa…nella realtà di una voce delicata e di suoni decisi
Un viaggio, tutta la sua durezza. Per respirarne, tutta la sua fatica, infinita. Elio Germano e Theo Teardo, designer del suono, sono un duo che tra le parole del primo e le armonie musicali del secondo, riescono a portarti dentro le pagine, nude e crude, del racconto pasoliniano . Il racconto in questione, è un romanzo: Il sogno di una cosa, scritto dall’intellettuale bolognese nel 1949-50, ma pubblicato nel 1962.
La voce, croccante mai invadente del pluripremiato attore romano, ti trasporta, a mo’ di carezzevole funicolare, nel Friuli del post seconda guerra mondiale. Nini, Milio ed Eligio, attraverso la parola scritta da Pasolini e letta da Germano, sembrano avere braccia e gambe, per vivere ancora, per dirci ancora qualcosa, fuori dal testo e dentro il contesto di un teatro Carcano pieno. In programma, dall’ 11 al 16 febbraio. Una produzione Pierfrancesco Pisani per Infinito Teatro e Argot Produzioni. Una coproduzione con Fondazione Teatro della Toscana, con il contributo di Regione Toscana.
A rendere la cosa ancora più vivida, alcuni spezzoni di voci registrate, con l’accento tipicamente friulano, proprio di Casarsa e dintorni, dove decolla la vicenda e paese nativo della mamma di Pasolini.
Nini e i suoi compagni di merende e di bevute, cercano, sognano, viaggiano. Un movimento esterno, fatto di spostamenti continui, di kilometri, da battere, con corpi, spesso, sfiniti. Ma anche un moto interiore, fatto di desideri piccoli, che continuamente subiscono delle grandi e brusche frenate, imposte dalla storia.
La storia di questi ragazzi, rimando della storia di infinite persone, in una fuga con la valigia in mano, verso lidi trasognati, con l’unica benzina che non finisce mai: quella di gambe che non possono fermarsi mai, che vanno finché ce n’è per dirla alla Ligabue di Certe Notti. La Jugoslavia come un eldorado pensato, immaginato, ma puntualmente deluso dalle botte di una realtà che non li aspetta ma che ha una sola fretta, quella di produrre cose.
Lo stupore prosaico dello stile di Pasolini, che s’innamorò del calcio vedendo giocare Amedeo Biavati nel suo Bologna, un’ala estrosa, l’inventor del doppio passo, si mischia alla voce delicata di Germano ed ai suoni forti di Teardo. Si riflette, si viaggia, si deduce.
Il fabula docet? Forse, è inutile condannare le migrazioni attuali. Perché un tempo, e non un’era geologica fa, barricadieri di confine, senza nulla ma con la voglia di tutto, eravamo noi.
Luca Savarese
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