Recensione: “Libri da ardere”

libri da ardere
Foto Cametti

“Una stanza. In fondo alla stanza si intravede un’enorme libreria, libri sparsi ovunque”. È con una didascalia pronunciata ad alta voce che inizia lo spettacolo Libri da ardere, in scena presso il Teatro Elfo Puccini fino a mercoledì 21 novembre.

Un grande e meritato successo, come testimonia la sala gremita e i continui sold out. Senz’altro uno dei motivi di tale popolarità è l’autrice del testo, l’amata scrittrice belga Amélie Nothomb. Personalità eccentrica, ironica e macabra allo stesso tempo, dal 1992 Nothomb ha pubblicato febbrilmente ogni anno un romanzo sempre ad agosto, ma Libri da ardere è la sua unica drammaturgia, immediatamente apprezzata da Cristina Crippa, sua fan incallita e regista dello spettacolo (per esser precisi, numerosi romanzi della Nothomb sono stati ripresi in teatro e al cinema, ma non erano in principio testi teatrali come in questo caso). La sua scrittura inconfondibile e i suoi “vezzi” – topoi stilistici riescono a dar vita anche sul palcoscenico ad una storia avvincente, profetica e crudele. Tre atti, tre personaggi – un professore universitario, il suo assistente Daniel e la giovane amante di lui, Marina – un ambiente distopico e apocalittico. La storia si svolge nella casa del professore, in una città universitaria forse dell’est Europa presa d’assedio ormai da due anni dai “barbari”, distrutta dai bombardamenti, ridotta alla fame e soprattutto devastata dal freddo. In un contesto che vagamente ricorda la situazione statica de “Il deserto dei tartari”, ogni personaggio è apparentemente impegnato con le proprie occupazioni, ma la vera ossessione è il gelo di cui tutti soffrono, in particolare Marina, bella ragazza dimagrita terribilmente a causa della guerra (è risaputo che Nothomb inserisca spesso nelle proprie storie elementi autobiografici, non stupisce perciò la connessione con il periodo adolescenziale in cui fu anoressica). È Marina la prima a proporre di bruciare i libri per potersi scaldare, dando così il via a una serie di dissertazioni letterarie che si rivelano in realtà pretestuose per cogliere l’essenza di ciò che sta accadendo: la lenta e inesorabile distruzione dei valori umani.

Comincia un gioco pericoloso di – mancato – equilibrio: tra riferimenti a celebri autori dai nomi fittizi (divertissment tipico della Nothomb, uniche eccezioni: Marivaux, paradigma dell’ultimo ideale romantico dei personaggi; Bradbury, inevitabile per il confronto con il rogo dei libri; Bernanos, su cui presto ci soffermeremo) e provocazioni volgari e ciniche, tra discussioni di elevata natura filosofica e letteraria e violenti litigi quasi animaleschi, tra alti ideali e biechi tradimenti, si consuma la tragedia che porta i personaggi a modificare la propria indole e le relazioni verso un finale cupo e inquietante. “L’inferno è il freddo” è la citazione presa in prestito a Bernanos da Marina, la quale nella sua irriducibile contraddizione di creatura angelica e allo stesso tempo demoniaca abbandona le convenzioni e le affettazioni del mondo perbene per giungere più rapidamente degli altri alla perdita non solo della “civiltà” (come può essere, ad esempio, il furto di un cappotto), ma della dignità umana ed infine soccombe ad una verità tremenda e insostenibile. Il sarcasmo del professore, carnefice ma in fin dei conti anche vittima, si scontra con l’idealismo di Daniel che crolla miseramente di fronte alla durezza dei fatti e alla debolezza umana (fin dal primo atto, lui stesso confessa di recarsi ogni giorno in università non per amor della sapienza ma per i tubi caldi della biblioteca). E anche quando l’ultimo libro, quello forse più mediocre ma il più importante in quanto estremo baluardo dell’umanità, sarà distrutto (dalla crudeltà, dalle fiamme o dal gelo dell’animo umano?) allora non resta che arrendersi, chi in pianto e tra le grida chi sghignazzando.

libri da ardere“Temi duri, drammatici. Affrontati con passione ma anche con levità, come se si stesse giocando, con toni iniziali quasi da commedia e con il gusto di creare dei personaggi complessi, capaci di essere sgradevoli e commoventi, vittime e carnefici, meschini ed eroici, forti e fragili. E fare in modo che con questi “mostri” si riesca ad entrare in empatia, a riconoscersi.”: è questo l’obiettivo che si è posta Cristina Crippa nel dirigere questo spettacolo, infatti il massimo sforzo è rivolto al lavoro sui personaggi insieme agli attori, tutti perfettamente in parte sia per quanto riguarda il fisique du rôle sia per l’interpretazione dei diversi caratteri. Il sublime Elio De Capitani nei panni del professore, divertente e orribile allo stesso tempo, accompagna gli spettatori in un abisso dove le risate iniziali si congelano e resta una spiacevole sensazione di vuoto – apprezzatissimo dal pubblico. I giovani Carolina Cametti e Angelo Di Genio, già noti e graditi dal pubblico dell’Elfo in altre rappresentazioni, raccolgono un’eredità importante, interpretando i ruoli che nella fortunata edizione dello spettacolo del 2006 erano affidati rispettivamente a Elena Russo Arman e Corrado Accordino. Angelo Di Genio alterna momenti romantici e intellettualici a bruschi eccessi di ira, con cui rivela la strenua lotta di Daniel tra il disperato tentativo di resistere, un amaro disincanto e una rabbia bestiale. Carolina Cametti, il cui costume a tinte nere e rosse omaggia la Nothomb, appare fragile e granitica allo stesso tempo; con la sua voce profonda e ruvida e il corpo esile ma energico ci mostra un personaggio consumato dalla disperazione, combattuto tra l’istinto di sopravvivenza e il desiderio di annientarsi (paradossalmente, forse proprio per non smarrire del tutto la propria umanità).

Interessanti, ed inquietanti, sono i cambi scena e le sequenze violente esplicitati dalle didascalie, che diventano una sorta di quarto personaggio in scena, l’ulteriore richiamo ad una dimensione quasi surreale dove la crudeltà si esprime in maniera asettica, lucida e fredda.

La scenografia ha subito vari cambiamenti nel corso degli anni a seconda del luogo che ha ospitato la rappresentazione: in principio, dodici anni fa il debutto nella chiesa di S. Giuseppe ad Asti, in seguito a Milano nell’ex mensa dell’ex ospedale psichiatrico Pini, poi presso il Teatro Binario 7 a Monza per approdare infine al Teatro Elfo Puccini. Ad oggi, nel gelido lindore delle pareti e del pavimento, la scena appare scarna e disadorna: tre sedie di legno, scaffali in metallo, una stufa, numerosi libri che si riducono notevolmente nel corso della vicenda. Tutto sembra essere risucchiato dalla forza distruttrice della stufa, dove scompaiono i libri ma anche l’umanità dei personaggi. Anche le luci di Nando Frigerio sottolineano con colori sempre più freddi la trasformazione di un luogo che a poco a poco perde il suo carattere di familiarità, di rifugio, di focolare per poi arrivare alla fine al buio, ad eccezione della luce infernale proveniente dalla stufa in contrasto con il bagliore accecante che penetra in casa dalla porta rimasta aperta, portando con sé il gelo esterno.

Le musiche che introducono e chiudono lo spettacolo e ne segnano i passaggi temporali sono di Willem Breuker, mentre gli effetti sonori creati con il contrabbasso da Jean Potvin accompagnano soprattutto le didascalie, esercitando più che altro un’azione di tipo emotivo.

La sapiente regia di Cristina Crippa ci restituisce un testo nichilista, ironico e fortemente drammatico, grazie all’ottima interpretazione degli attori giunge come un pugno nello stomaco la percezione che la nostra fragile umanità sia in pericolo, non tanto per colpa dei “barbari” ma prima di tutto a causa nostra, coinvolti in maniera più o meno consapevole in un processo autodistruttivo. Parafrasando l’espressione fortunata di una serie tv e riprendendo un dato concreto ribadito costantemente nello spettacolo, “l’inverno sta arrivando”.

Beatrice Marzorati

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