Per il quarto anno consecutivo la redazione di MilanoTeatri si trova a scegliere i migliori spettacoli andati in scena. Non una votazione, ma semplicemente un elenco delle opere che ci hanno trasmesso qualcosa e che secondo noi meritano di essere ricordate, sempre sottolineando che assistere a tutte le produzioni milanesi è ovviamente impossibile. Ogni membro della redazione di MilanoTeatri ha scelto 3 spettacoli, ecco cosa ne è venuto fuori.
Ivan Filannino ha scelto
UBU ROI (di Alfred Jarry, adattamento e regia di Roberto Latini)
Eccezionale versione del classico di Alfred Jarry adattato e portato in scena da Roberto Latini. Ogni particolare si incastra alla perfezione, musica, recitazione, luci e perfino profumi per una perfetta rappresentazione di teatro dell’assurdo. Alla genialità di Latini si aggiunge il resto del cast autore di una prova da applausi, Partendo dai protagonisti Savino Paparella e Ciro Masella, che regalano attimi di pura ilarità nel loro rapporto di amore e odio, agli altri sei attori sul palco, tutti perfetti nel caratterizzare il loro personaggio.
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GREEN DAY’S AMERICAN IDIOT (di Billie Joe Armstrong e Michael Mayer, regia di Marco Iacomelli)
Spazio anche al musical con “Green Day’s American Idiot” spettacolo scritto dalla nota rock band statunitense che arriva in Italia nella versione del regista Marco Iacomelli. Spesso le versioni italiane deludono, in questo caso possiamo dire che Iacomelli supera anche l’originale merito di una regia che mostra più inventiva e attenzione per i particolari a cui si aggiunge un perfetto cast fatto di giovani performer pieni di energia ed entusiasmo. Sono loro a trasmettere al pubblico l’adrenalina raccontata nelle musiche dei Green Day.
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MARCO PANTANI (di Alessandro Veronese)
Il 2017 della compagnia Fenice dei Rifiuti è stato quasi interamente dedicato a Marco Pantani, riportando in scena con alcune novità la storia di questo campione del ciclista tanto amato dagli italiani, ma al tempo stesso velocemente dimenticato. Uno spettacolo che prende per mano lo spettatore e lo porta nel mondo di Marco raccontando aneddoti della sua vita, ma soprattutto indagando su una storia che a distanza di anni continua ad avere tanti punti interrogativi a cui Fenice dei Rifiuti vuole dare una risposta.
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Arianna Lomolino ha scelto
CI HO LE SILLABE GIRATE! DRAMMA DISLESSICO PER GIOVANI ATTORI (Di Alberto Cavalleri, regia di Enzo Biscardi)
Ci ho le sillabe girate! Dramma dislessico per giovani attori, una produzione di Teatro Officina, per la regia elegante di Enzo Biscardi e la tersa drammaturgia di Alberto Cavalleri. Uno spettacolo importante, impegnato e trasversale, da non fermare. Interpretato da quattro giovani talenti: Francesco Arioli, Stefano Grignani, Sebastian Luque Herrera e Pietro Versari, spigliati e coraggiosi divertono e insegnano con la stessa leggerezza. Il brio di Ci ho le sillabe girate sostiene l’efficacia di un testo brillante, di grande forza e necessità, in questo secolo più che mai in conflitto con il diverso e le sue specificità.
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TROPICANA (di e con Irene Lamponi, regia di Andrea Collavino)
Tropicana di Irene Lamponi è una convincente prova di teatro, di non comune intensità, equilibrata da una buona vena di comicità. Se n’è parlato anche per via del linguaggio sfrontato, disinibito, quasi disturbante, ordito di uno spettacolo del tutto riuscito. Bello il cast, dallo spaesamento del personaggio di Elena Callegari, alla ruvidezza di Cristina Cavalli, dalla diffidente timidezza del personaggio della Lamponi alla tenerezza di quello di Marco Rizzo. Una bella storia di famiglia, d’amore e di conflitti, composta dalla regia di Andrea Collavino in una rappresentazione “semplice” e sincera – da pugni e farfalle nello stomaco.
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GLI AMORI DIFFICILI (di Lorenzo Loris)
Calviniana la scelta di Lorenzo Loris, per lo spettacolo di punta del Teatro Out Off durante la stagione che ne ha festeggiato il quarantennale. Gli amori difficili, un poco più anziani del teatro che li ha ospitati, si fanno spazio sulla scena grazie alla bravura di Gigio Alberti, Monica Bonomi e Nicola Bibi Ciammarughi, accompagnati da un violoncello – sfondo, connessione, lamento -, guidati dalla sottigliezza del lavoro di adattamento del regista. L’avventura amorosa, fatta di timorosi gesti e pensieri ricorrenti, si materializza per quadri, restituendo la sostanza della raccolta come solo il raffinato gioco del teatro sa fare.
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Massimiliano Coralli ha scelto
COLLABORATORS (di John Hodge, regia di Bruno Fornasari)
Spettacolo dell’anno senza se e senza ma. Un geniale testo di John Hodge che ribalta ogni luogo comune mettendo a confronto lo scrittore Bulgakov e il dittatore Stalin, lasciando aperto il dubbio relativo a chi dei due sia stato il cattivo. Bruno Fornasari traduce in scena questo piccolo capolavoro avvalendosi di una compagine di attori realmente ben amalgamata e in parte. Ritmo incandescente, scenografia sorprendente, disegno luci perfettamente calato nel contesto. Si esce da teatro con la mente nutrita e con la voglia di rientrarci subito. Non si può chiedere di più.
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GIANNI (di Caroline Baglioni)
Caroline Baglioni è tra le più felici sorprese della scena italiana degli ultimi anni. La Baglioni tiene in gestazione questo sorprendente monologo per un decennio, analizzando alcuni nastri, ritrovati per caso, in cui era registrata la voce di suo zio, Gianni Pampanini. Un viaggio nell’inferno del disturbo mentale affrontato con incredibile consapevolezza scenica dalla Baglioni, che trasforma sé stessa con grande generosità fisica, donando allo zio scomparso un meraviglioso atto d’amore.
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UN ALT(R)O EVEREST (di Jacopo Maria Bicocchi e Mattia Fabri)
Dopo lo strepitoso (S)legati, Jacopo Maria Bicocchi e Mattia Fabris riescono nell’impresa di raccontare in modo sorprendentemente efficace un’altra storia (vera) di montagna. L’intesa tra i due attori / amici è da manuale del teatro, la storia, epica e dolorosa, procede ad un ritmo incandescente grazie ad un continuo gioco di flashback che tiene incollati alla poltrona fino alla fine. Alessandro Verazzi regala ai due attori uno splendido gioco di luci e ombre, Maria Spazzi si inventa una magia scenografica grazie una coppia di sedie magiche che vengono smontate e rimontate con l’utilizzo di semplici calamite. Insomma, un team perfetto per uno spettacolo da non perdere.
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Roberto De Marchi ha scelto
ACQUA DI COLONIA (di Elvira Frosini, Daniele Timpano regia di Elvira Frosini, Daniele Timpano)
Comincia con l’acquisto della Baia di Assab in Eritrea da parte della società Rubattino nel 1869 la storia del colonialismo italiano. Una storia che si chiuderà nel luglio 1960 quando la Somalia Italina e quella inglese si uniscono per dare vita alla Repubblica Somala. In mezzo: la Libia, il Dodecaneso e l’inaspettata e dimenticata Concessione italiana di Tientsin. Il focus di Frosini e Timpano è indirizzato sull’africa orientale; quasi cento anni di storia che nella memoria comune, si riduce ai soli cinque anni dell’impero Fascista e della seconda guerra. Eventi placati che modellano ancora oggi il nostro immaginario insinuandosi in frasi fatte, luoghi comuni, canzoni, letteratura, perfino fumetti e cartoni animati.
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SHYLOCK (di Gareth Armstrong con Maurizio Parinello)
Parlando del “Marcante di Venezia” il primo nome che viene in mente è quello di Shylock o Antonio tutt’al più Jessica. A Tubal, l’ebreo “della stessa tribù” di Shylock a cui Shakespeare dedica nel Mercante non più di otto battute e che in un pomeriggio va e torna tra Venezia e Genova, non pensa nessuno. Non più solo otto battute ma l’incarico di ricostruire e riabilitare la figura di Shylock, di rivelare, con incredibile ironia, l’uomo dietro il personaggio.
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SOTTO I GIRASOLI (di Davide Del Grosso, regia Isabella Perego)
La vicenda è narrata da Augusto Tognetti (fante dall’ARMIR) inviato 1942 in Russia nel per dare “l’italico contributo all’Operazione Barbarossa” combattendo a fianco dei tedeschi. Uno spettacolo che va oltre i pur straordinariamente ed importanti eventi storici affrontando il tema della guerra dal punto di vista di chi, allora ventenne, si preparava a valicare il confine tra giovinezza ed età adulta. Un punto di vista obliquo che fonde storia universale e vicende personali fino a farne un tutt’uno in un intreccio da cui è impossibile svincolarsi.
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Vera Di Marco ha scelto
SULLA MORTE SENZA ESAGERARE (di Teatro dei Gordi)
Seduta su una panchina, in compagnia di una piccola pianta grassa, la Morte aspetta. I Gordi nel loro spettacolo rappresentano la Morte vista sotto la lente delle parole di Wisława Szymborska che con la sua poesia ne dà una lettura serena, quasi umana, una figura sì immutabile ma che semplicemente porta avanti il suo lavoro in modo ordinario, con rassegnazione, a volte interdizione, cuore. Sulla Morte senza esagerare merita menzione perché completamente muto, nel senso stretto del termine, ma ricco di significati e fortemente comunicativo. Si potrebbe dire che la performance traduce con abilità il silenzio dell’incontro e che Riccardo Pippa abbia trattato in forma scenica la forza di una carezza, così accogliente e delicata da durare troppo poco.
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FLY BUTTERFLY (di Rocco D’Onghia e Stefano Monti)
Il ritorno di Fly Butterfly al Teatro Verdi dona possibilità alle nuove generazioni teatrali di assistere a uno spettacolo con pochi precedenti e a cui chiunque, addetti ai lavori e non, dovrebbe partecipare.
Costruito attraverso la tecnica di teatro su nero, Fly Butterfly e il Teatro del Buratto portano in scena l’oriente, che con le sue caratteristiche e convenzioni prende corpo in occidente e – seppur riadattato – dichiara con forza la sua capacità d’essere attuale, universale e adatto a tutti.
B., la protagonista, è un’adolescente che percorre la via della conoscenza per trovare se stessa. Della “storia” – a noi spettatori amanti della drammaturgia narrativa – basti sapere questo. Il resto è un dispiegarsi di immagini che toccano le nostre corde irrazionali ed emotive, in un susseguirsi di figurazioni delicate.
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TRE ALBERGHI (di Jon Robin Baitz, regia Serena Sinigaglia)
lo spettacolo Tre Alberghi di Jon Robin Baitz, con Francesco Migliaccio e Maria Grazia Plos per la regia di Serena Sinigaglia, presenta sul palco un’attenta e acuta traduzione simbolica di un testo che già da solo parla ferocemente al suo pubblico, con una secchezza e verità profonde.
Ken, tagliatore di teste per una multinazionale, e sua moglie si ritrovano nel circolo di un gioco al massacro che un lavoro senza etica e la loro incapacità a resistergli renderanno fatale. Alla coppia ormai distrutta, rimarrà in mano solo un pugno di polvere, quella polvere della baby formula che Ken sostiene con tanta facilità, nonostante evidenti problemi di limpidezza dell’azienda, e che è sapientemente rappresentata dalla moltitudine di barattoli di latta per la suggestiva scena creata (come sempre per Atir) da Maria Spazzi vincitrice, tra l’altro, del Premio Hystrio – Altre Muse 2017.
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Alessandra Cutillo ha scelto
AMLETO † DIE FORTINBRASMACHINE (di e con Roberto Latini e Barbara Weigel)
Amleto † Die FortinbrasMaschine è il guado segreto nel fiume che svela le tracce di un passaggio dall’altra riva alla nostra vita. Riscrittura di una riscrittura, lo spettacolo è una libera ispirazione che si dispiega dal relativamente ermetico Die Hamletmaschine di Heiner Müller di cui vengono fedelmente ripresi i cinque atti. Pescando da un cantiere di fantasmagorie ataviche, in scena vige un prodigio di figura e voce che vive, languidamente muore e sopravvive dando luogo all’àgere, oblio dell’azione nell’atto.
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MACBETTU (di Alessandro Serra)
Quando tutto funziona non resta che disvelare l’ambientazione naturale di un’opera. Macbettu, della compagnia Teatropersona costituisce una ricerca e un inseminazione nel terreno del bios.
Il scena va il noto ma ridotto intreccio tragico shakespeariano, ciò che è inedita è la ritualità naturale di un quotidiano fatto di veridicità grazie alle sinestesie registiche. Macbettu muove in una Barbagia che alza polvere asfissiante, stride a suon metallico di campanacci e tavoli.
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LA PORTA (di Maria Paiato e Maria Pilar Pérez Aspa)
La Porta, reading teatrale tratto dal romanzo di Magda Szabò, si pone come metonimia di un rito assai intricato che travalica qualsivoglia condizione puramente meccanica.
Maria Paiato e Maria Pilar Pérez Aspa incarnano con maestria impeccabile due identità opposte e in quanto tali necessarie per la relativa sussistenza ontologica. Lo spettacolo per mezzo della parola e di un racconto dispiega una seduzione sacra che trapela fucine di piacere e liberazione dal dolore.
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Manuele Oliveri ha scelto
SULLA MORTE SENZA ESAGERARE (di Teatro dei Gordi)
La riflessione sulla morte è sicuramente una tematica ricorrente nella storia delle arti, ma la varietà di modi in cui questa riflessione può essere condotta lascia ancora oggi giorno ampio spazio all’interpretazione personale. ”Sulla Morte senza Esagerare” riesce ad affrontare un argomento così alto senza tuttavia prendersi troppo sul serio, prendendosi lo spazio per le risate e l’ironia che permettono di mettersi di fronte all’inevitabile senza farsi prendere dal panico: uno spettacolo condotto con lucidità ed un’interessante vena comica.
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MODERN FAMILY 1.0 (di Giovanna Donini, Annagaia Marchioro, Virginia Zini)
Il mondo va avanti e si trasforma, la società si evolve e ”Modern Family 1.0” ci racconta i nostri tempi dal punto di una famiglia composta da due donne, che sempre a metà strada tra la finzione scenica e la rottura della quarta parete riescono a regalare abbondanti risate, tra litigi, questioni familiari ed il sempre spinoso tema dell’adozione. Senza inutili filtri, ma anche senza eccessivo buonismo, uno spettacolo interessante ed una curiosa finestra sul nostro mondo.
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DITA DI DAMA (di Chiara Ingrao, regia Laura Pozone e Massimiliano Loizzi)
Questo paese ha vissuto anni di grande espansione economica, benessere e progresso nel Secondo Dopoguerra, grazie alla strabiliante forza delle sue industrie. In questi edifici hanno trascorso la propria vita lavorativa generazioni di operai ed operaie, spesso raccontati nella nostra letteratura, ma in modo pregiudizievole ed ideologicamente guidato. ”Dita di Dama” ci presenta invece la trasformazione di una fragile ragazza in un’operaia fiera, pronta a lottare per i propri diritti nella movimentata Italia a cavallo tra gli anni ’60 e ’70.
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Beatrice Marzorati ha scelto
THE FLICK & ALIENS (di Annie Baker, regia Silvio Peroni)
Il connubio tra la pluripremiata drammaturga Annie Baker e il raffinato regista Silvio Peroni funziona e regala al pubblico milanese due spettacoli degni di nota: The flick, in scena presso il Teatro Verdi, e Aliens al Teatro Filodrammatici. “The flick” è uno dei pochi cinema dove si usi ancora il proiettore tradizionale a 35 mm, “Aliens” invece è una poesia di Charles Bukowsky, idolo di tre ragazzi che si incontrano nel cortile sul retro di una caffetteria. Sono questi i pretesti concreti e i luoghi in cui si sviluppano i drammi: storie di solitudini, di fragilità, di sogni e grandi aspirazioni, di amicizie e amori, “storie di perdenti, forse: per questo universali”.Per entrambi gli spettacoli il regista si avvale di attori molto bravi, capaci di restituire esistenze mediocri e apparentemente insignificanti, anti-eroi tragicomici “a cui brucia negli occhi la fiamma della speranza ma nel corpo la rassegnazione”: Alberto Malanchino (Avery), Mariano Pirrello (Sam) e Sara Putignano (Rose) in The flick, inservienti di sala e proiezionisti; Jacopo Venturiero (Jasper), Giovanni Arezzo (KJ) e Francesco Russo (Evans) in Aliens, aspiranti scrittori e musicisti.Il ritmo lento, le infinite pause e i lunghi silenzi, i commenti apparentemente banali potrebbero mettere in difficoltà lo spettatore se non fosse per l’abilità degli attori, l’intelligenza del regista e la scrittura sottile della Baker che creano una ragnatela leggera, quasi invisibile ma resistente, da cui improvvisamente esplodono verità lancinanti, slanci di tenerezza, sorrisi ironici e malinconici. In breve, un lavoro delicato e potente allo stesso tempo.
DONNA NON RIEDUCABILE (di Stefano Massini, regia Silvio Piccardi)
Lo spettacolo Donna non rieducabile, diretto da Silvio Piccardi, scritto da Stefano Massini e interpretato da Ottavia Piccolo vanta nomi importanti e una fortunata tournée, che quest’anno a Milano l’hanno portato al Teatro Carcano e al Teatro ATIR Ringhiera. Le buone premesse si confermano e si traducono poi sulla scena, attraverso le parole della giornalista russa Anna Politkovskaja. Lo spettacolo infatti come afferma Massini è “un viaggio negli occhi di Anna Politkovskaja”, ossia consiste in un “album di immagini”, formato dai brani autobiografici e dagli articoli della giornalista, ciascuno preciso, immediato, potente. Buio-luce, da cui emerge l’orrore della guerra russo-cecena denunciato e vissuto in prima persona da Anna. Piccardi ci tiene a precisare che lo spettacolo non intende celebrare la figura eroica di Anna, ma “restituire al pubblico,nella forma più diretta, più semplice, più anti-retorica possibile, il senso della scelta di verità”. L’attrice Ottavia Piccolo, accompagnata dall’arpa di Floraleda Sacchi, dà corpo e voce con sobrietàalle sensazioni fisiche, agli stati d’animo, alle tante persone che Anna incontra nei suoi viaggi. Sonotrascorsi ormai 11 anni dal giorno del suo assassinio, il 7 ottobre 2006, forse qualcuno non si ricorda più nemmeno chi è Anna, tuttavia la sua storia è ancora attuale e scomoda. Certo è difficile essere una “Donna non rieducabile”, lo spettacolo non lesina sulle ombre della vita di Anna, eppure gli squarci di luce penetrano violenti e drammatici, come le domande di un’irriducibile giornalista che non si fermano all’apparenza per mostrare a tutti la verità e restare umani. Oltre a un magistrale lavoro di interpretazione, questo spettacolo offre una riflessione profonda sull’onestà e sulla verità, di cui si avverte gran bisogno.
AMOROSI ASSASSINI (di Valeria Perdonò)
Nella variegata cornice del festival IT, tra studi ed esperimenti scenici, c’è anche l’estratto dello spettacolo Amorosi Assassini di e con Valeria Perdonò, al pianoforte Marco Sforza, spettacolo già collaudato e messo in scena più volte nella versione integrale. Il contrasto presentato dal titolo si riflette anche sulla scena, dove l’eclettica attrice e autrice Perdonò racconta la vicenda di Francesca Baleari, sopravvissuta a un tentato omicidio. Storia vera e tragica (la fonte cui ricorre l’autrice è il saggio del 2006 “Amorosi Assassini”), ma l’attrice con ironia e leggerezza, cantando e ballando, scherzando con il prezioso maestro Sforza e interagendo con il pubblico ci accompagna nei meandridi questa storia torbida senza risultare retorica o pesante, pronta a colpirci con un pugno allo stomaco con la testimonianza di Francesca. Oltre a fornire un’ottima prova d’attrice, Valeria Perdonòimpone con questo spettacolo-inchiesta domande che ci interpellano con forza riguardo a una tematica spinosa come la violenza sulle donne. Senza rinunciare ai dati e alla crudità dei fatti, la Perdonò ci accompagna in un viaggio in cui si alternano le risate all’orrore, il divertimento alla riflessione, la cronaca alla poesia, dimostrando come si possano affrontare artisticamente questioni di carattere civile senza annoiare e con efficacia. Resta la curiosità e il desiderio di vedere tutto lo spettacolo, e magari anche rivederlo.
caspita, non so proprio scegliere: su 34 spettacoli visti a milano la scorsa stagione, non ce n’è uno in questo elenco
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