“Lontano. Intorno alle migrazioni sanitarie”: intervista a Laura Curino

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foto Masiar Pasquali

Arriva per la prima volta a Milano lo spettacolo “Lontano. Intorno alle migrazioni sanitarie” di Massimo Cirri e Laura Curino. L’appuntamento è per giovedì alle 21.00 al Multisala Troisi di San Donato Milanese. Il racconto della strage di Ustica offre un’occasione unica per riflettere sul dramma di chi, ancora oggi, deve lasciare la propria casa in cerca di cure mediche migliori. L’evento è organizzato da A Casa Lontani Da Casa insieme a una delle organizzazioni che ne fanno parte, Fondazione Cuore Fratello ETS, attivamente impegnata per alleggerire le preoccupazioni e le difficoltà dei pazienti in viaggio per le cure. Di questo spettacolo abbiamo parlato con Laura Curino, sempre gentile e disponibile.

Come nasce questo spettacolo?
«La collaborazione con Massimo Cirri è iniziata anni fa quando mi chiamò per “Il tempo senza lavoro” tratto da suo omonimo libro. Abbiamo girato insieme parecchio con quello spettacolo. Quando mi ha chiesto di mettere in scena con lui la storia di Ustica ho subito accettato senza sapere quale fosse la sua idea perché mi piace tantissimo quello che fa».

E poi?
«Ero molto curiosa e devo dire che ha trovato una via molto interessante scoprendo che c’era un filo che legava alcuni dei passeggeri di quel volo: erano in viaggio per motivi sanitari. Chi per curarsi, chi per andare a trovare un parente in cura. Questo spettacolo, inoltre, tiene vive le domande. Ciò che è acclarato è che l’abbattimento dell’aereo è stata un’azione di guerra, ma ancora non è venuto fuori i responsabili. I parenti delle vittime hanno il diritto di saperlo. Attraverso l’arte si celebra un rito poetico, civile e politico per ricordare quelle persone che non ci sono più. Vogliamo impedire di dimenticare queste persone. Ho grande rispetto per l’Associazione dei parenti delle vittime di Ustica per via della loro tenacia».

Come si lega il tema delle migrazioni sanitarie?
«Erano ben 11 persone su 70 a far parte della categoria dei viaggiatori sanitari. Una percentuale alta. Sono quelle persone che in Italia per curarsi devono volare. Cirri offre così al pubblico un ulteriore spunto di riflessione. Io ho avuto una storia analoga con mio papà, mancato nel ’98, e ricordo i parenti delle persone venute a Milano che dormivano in macchina per stare vicini ai loro cari ricoverati. È una storia che Massimo Cirri è riuscito a raccontare in modo sostenibile. È uno spettacolo che accontenta il pubblico sia dal punto di vista poetico sia dal punto di vista civile».

Come funziona l’interazione tra voi sul palco?
«Cerchiamo di mantenere viva la pratica di guardarci molto, un po’ come fanno i musicisti. L’accordatura tra noi avviene attraverso la prova e attraverso la musica che ci dà i tempi. Si svolge come dialogo, raccontiamo momenti diversi della storia di queste persone. Sia io sia Massimo abbiamo esperienze personali su casi di migrazione sanitaria. Ci dedichiamo anche molto al pubblico cercando di evitare la vanità e puntando ad avere una relazione gli spettatori raccontando una storia che si possa ascoltare con piacere».

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