
Rumori di flash assordanti sono il leitmotiv di Alkestis 2.1. Allo spazio Avirex Tertulliano, Johannes Bramante fa incontrare il mito con la contemporaneità, e due personaggi che nel mito non si erano mai incontrati, Alcesti e Pigmalione.
Lei, sposa devota pronta a sacrificare la vita per l’amato Admeto, perde qui la sua eccezionalità e diventa una fra tante, fra le tante modelle pronte a sacrificare se stesse solo per se stesse. Per la fama, la stessa motivazione che spinge il fotografo Pigmalione a una follia che con la follia d’amore raccontata da Ovidio non ha niente a che fare. Il Pigmalione del mito non sapeva che quella che stava scolpendo era il suo ideale di donna di cui si sarebbe poi innamorato. Nell’ideazione di Bramante invece entrambi i personaggi sanno fin dall’inizio verso cosa devono tendersi, allungarsi, lacerarsi se necessario, per raggiungere il loro apice di compiutezza. Non saranno appagati finché non lo avranno in pugno. La fotografia perfetta, la bellezza senza tempo che consacra per sempre alla celebrità.
E allora si assiste all’affanno dei due personaggi che rincorrono scioccamente l’immortalità nel nostro mondo mortale, in cui tutto è già stato fatto, visto, rivisitato, photoshoppato. A interporsi tra i loro dialoghi deliranti, isterici tanto da risultare comici, e i monologhi di Pigmalione che troppo spesso indugiano nella forzatura di una follia senza fondamenta, appare una visione di donna: la bellezza eterna che si fa testimone e scherno della miseria umana.
Ardimentoso è l’obiettivo dello spettacolo nella ricerca di un corrispettivo col mito, ricerca già avviata dal regista in questo ambito, e che pur calando la vicenda in un’ambientazione alla portata di significato per l’attualità del tema trattato, non sempre trova aderenza nella costruzione della psicologia dei personaggi. Ambiziosa allo stesso modo l’interpretazione dei tre attori, Lucia Bianchi, Alessandro Lussiana e Francesca Accardi, che nella loro spasmodica e violenta corsa verso la fama, finiscono per correre fuori da loro stessi, mancando un supporto drammaturgico che renda concreti e reali i loro sforzi.
L’efferatezza del risultato arriva a toccare le corde del mito, inteso come culla di passioni e tragedie che abbracciano tutta l’umanità, sentimenti totalizzanti fino al punto di prevaricare la mente e il corpo dell’uomo stesso. Ma troppo grande è il discrimine tra la furia autolesionista dei personaggi e le motivazioni che li spingono ad agire in tal senso, troppo frettolosa la veemenza della follia e il sangue versato senza aver lasciato allo spettatore il tempo preliminare dell’inquietudine e del sospetto.
Alkestis 2.1 è uno spettacolo per i forti di stomaco, o per quelli che quando raccontano le storie tendono a enfatizzarle, mentre l’interlocutore si chiede quando arriverà al dunque. E il dunque è un dettaglio in stile splatter.
Alessandra Pace
Leave a Reply