Recensione: “In stato di grazia”

in stato di grazi

Il 3 dicembre ha debuttato a Campo teatrale lo spettacolo “In stato di Grazia” diretto da Francesca Merli e scritto dalla stessa Merli con Laura Serena e Lia Gallo.

Il progetto è prodotto da Campo Teatrale, con il contributo della fondazione di comunità Milano A.T. Kearney Italia inc. e grazie a tutte le persone che hanno aderito alla campagna di crowdfunding.

Ho voluto iniziare citando il percorso produttivo perché credo che questo spettacolo abbia il merito racchiudere in sé il seme di qualcosa di nuovo nel panorama teatrale nazionale. La domanda retorica per eccellenza è senz’altro che cos’è teatro? Eppure, mai come in questi ultimi anni, la crisi tra palcoscenico e pubblico, ha tracciato un solco così profondo. Se il teatro è ancora vivo e proattivo lo dobbiamo a progetti come questo spettacolo. Quello che prima era il legame con i grandi teatri e i grandi spettacoli, apparentemente sempre più distanti e irraggiungibili, spesso nemmeno tanto interessati ad una connessione con il pubblico, ora si è spostato in spazi più piccoli definiti off. È in questi spazi che il contatto con il territorio e con le persone si attua veramente. Dove il teatro non è qualcosa di lontano, di intellegibile e asettico. Dove vive ancora quel desiderio di sognare e di far parte di qualcosa che vada oltre la messa in scena. All’interno del processo evolutivo della creazione si contempli l’osservatore, che non ha più voglia di essere passivo rispetto a qualsivoglia schiribizzo artistico.

Riprendendo il percorso del teatro d’inchiesta che negli anni 70 aveva contraddistinto il lavoro di Franca Rame e Dario Fo, in questo progetto torna, in maniera diversa, la necessità di far vivere in stretta relazione problematiche quotidiane che fanno parte della nostra società, con la ricerca teatrale. Partendo dallo spunto narrativo di Pinocchio si porta in scena linguaggi apparentemente molto diversi, come quello del documentario e della fiaba. Insieme accompagnano lo spettatore tra l’astrazione e la condivisione di esperienze di coraggio e grande amore per la vita.

Citando le loro parole: “Lo spettacolo, nato come un laboratorio, ha come obiettivo quello di far dialogare bambini abili con bambini disabili e vede quindi come protagonisti 8 bambini abili e disabili di età compresa tra i 9 e i 5 anni. All’interno del gruppo vi sono bambini che presentano varie disabilità, quali autismo, sindrome di down, ritardo cognitivo e disturbo ipercinetico”.Assieme a loro per guidarli e tutelarli ci sono le attrici Laura Serena e Lia Gallo, che riescono a mantenere un clima di gioco e di fiducia, senza perdere il rigore della messa in scena. Insieme ad i ragazzi sanno instaurare un rapporto di scambio con il pubblico, al quale è richiesta attenzione umana, più ancora di quella del solo sguardo e del solo udito. Un ascolto più profondo e teneramente ironico. La storia si divide in atti che partono dalla nascita di questi bambini e da come siano stati segnati sin da subito, rispetto a quello che li avrebbe resi “diversi” e accompagnati per la loro vita. Si è poi indagata la scuola e la difficoltà di trovare contesti di vero ascolto. Ma più in particolare si è parlato dei loro sogni, dei loro desideri, del loro diritto all’eros e all’amore, ma soprattutto di un futuro in una società capace di accoglierli. Ogni storia viene indagata tramite il rapporto con i genitori che, attraverso delle video interviste, si aprono e raccontando delle difficoltà e dell’amore immenso che provano per i loro figli. I video intrecciano queste interviste a momenti dedicati al ritratto dei bambini. Un accurato lavoro di ripresa e di light design di Stefano Colonna.

Alla mia domanda sulla difficoltà di portare in tournée uno spettacolo di questo tipo, la regista Francesca Merli mi ha prontamente risposto con grande concretezza:

“I progetti più al limite sono in realtà i progetti che vengono più accolti, anche dai grandi stabili. Perché c’è una progettualità, una inchiesta. Sento che ormai il nostro reale, per cercarlo veramente, devi uscire dal teatro per trovarlo. Per poi portarlo in scena. Questi sono bambini che hanno disabilità diversissime, in apparenza anche inconciliabili. Chiaramente c’è stato un processo anche un po’ più lungo di lavoro, ma quello a cui voi avete assistito oggi è la prima volta lo vediamo anche noi, è il risultato di un percorso.”

Questo spettacolo segue le orme del precede progetto la banca dei sogni, che tipo di percorso state seguendo?

“In questi ultimi anni stiamo lavorando, anche con Laura Serena, a questa modalità di teatro d’inchiesta, dove il giornalismo o la parte più di indagine entra nei nostri spettacoli, di volta in volta in modo diverso. […] Ho sentito di approcciarmi all’inchiesta, all’indagine, per studiare i bambini, diciamo così, analizzare come fossero le loro vite attraverso i genitori. Perché ho capito che in questo linguaggio misto, tra la fiaba e l’inchiesta, dove la fiaba è più andare verso i bambini e l’inchiesta è più andare verso gli spettatori, il punto di contatto era la storia di Pinocchio, che tutti conoscono, e che in questo caso è soltanto di larghissima ispirazione, in cui il rapporto genitoriale è quello più importante”. 

Questo spettacolo lascia sicuramente il segno, stimola il dubbio e il pensiero ma soprattutto va nella direzione di una riconquista del rapporto tra arte e vita. Lasciando un segno positivo e propositivo.

Michele Ciardulli

Be the first to comment

Leave a Reply

Your email address will not be published.


*