Recensione: “Pignasecca e Pignaverde”

pignasecca

Storie ,divertenti, di ordinaria avarizia. Solenghi abbraccia e fa suo l’avaro di  Govi

Soleva dire Kierkegaard nel suo Diario del seduttore, che l’attore o non ha personalità e quindi  assume via via quelle dei propri protagonisti. Oppure ne ha talmente tanta,  in grado da passare, da un personaggio all’altro, senza battere ciglio.

Per Solenghi Tullio, vale ,senza ombra di dubbio, la seconda declinazione.  Solenghi non a caso partecipo’, nel 2016,  al programma televisivo “Tale e Quale Show“. Dove, prima della messa in scena di ogni ruolo interpretato e ricreato, il presentatore Carlo Conti, suole dire: ‘Saluto’, in questo caso, Tullio Solenghi e ‘Do’ il benvenuto al personaggio da imitare e ricreare.

Infatti, interpreta così intensamente lo spilorcio genovese, al punto da far dimenticare, ai presenti e forse un po’ anche a sé stesso, di essere Solenghi.

La comicità genovese asciutta di Gilberto Govi e della sua Compagnia Comica Genovese rivive in questo spettacolo andato in scena al Carcano dal 15 al 19 aprile.  Pignasecca e Pignaverde, commedia teatrale nata dalla mano di Emerico Valentinetti, registrata nel 1957. Testo che guarda ancor più indietro: ad un’opera del XIX secolo, tutta in lingua genovese, scritta dal poeta ligure Martin Piaggio: I doi avai (I due avari).

Dunque un doppio salto temporale, per riannodare i fili del teatro goviano, che a sua volta andava a pescare, ad un centinaio di anni prima.

Doppio salto che la macchina teatrale capitanata da Solenghi, rende sul sipario con la leggerezza e la freschezza di un provetto altista. E l’asticella, non cade mai, ma, si alza sempre.

Pignasecca e Pignaverde” ha un cast composto da Tullio Solenghi, che con Margherita Rubino ne e’ anche l’autore. Claudia Benzi, Laura Repetto, Matteo Traverso, Stefano Moretti, Roberto Alinghieri, Mauro Pirovano e Stefania Pepe. Tullio Solenghi interpreta Felice Pignasecca, mentre Mauro Pirovano interpreta Alessandro Raffo, il suo cugino.

La regia è di Tullio Solenghi, con scenografie di Davide Livermore. Al trucco e parrucco c’è Barbara Petrolati. Assistente alla regia è Roberto Alinghieri. Mentre come scenografa e costumista assistente c’è Anna Varaldo. Una produzione Teatro Sociale di Camogli, Teatro Nazionale di Genova.

Aveva dichiarato il navigato attore ligure, in fase di presentazione della pièce, di volere ssimilarne ogni frammento, ogni sillaba, ogni atomo della maschera goviana. Resa azzeccata. Impresa, riuscita. Perché il pubblico dimentica il braccio destro di Massimo Lopez, scorda colui che con quest’ultimo ed Anna Marchesini formava il trio, e viene come ospitato, per 110 minuti, nella casa amara e senz’amore, ma piena di mille espedienti per non spendere una lira, di Felice Pastorino.

Costui, è un padre padrone. Suoi sono i soldi, così suoi al punto da temere che la governante Lucia, possa prenderne in esubero. Scenetta, questa, con cui si apre la vicenda.

Il dialogo, in cui come cardo e decumano si dipana,  via via, tutta l’architettura della commedia, con botta e risposta fluidi e gradevoli all’ascolto, ha un effetto di immediatezza. 

Da una parte lo spettatore, dato il perpetuarsi delle angherie di questo avaro, il suo decidere a priori il destino della figlia Amalia, che vuole unire al benestante cugino Alessandro Raffo, detto in dialetto U Lisandro ( incarnato spassosamente da Pirovano ) prova antipatia per lui. 

Ma poi visto l’incedere dell’avarizia della sua pochezza, spera, che novello Dyskolos menandreo, si possa redimere da un momento all’altro. Cosa, che non avverrà poi nel corso della trama, di fatto, mai.

Incuriosisce anche il ritmo dialogico della collettività; che conferisce alla rappresentazione, una visione comica spassosa e leggera, mai fuori luogo e sempre, come un tassello del gioco del quindici, al posto giusto.

È un divertente ballo comico, scandito dalla colonna sonora del dialetto zeneize, in un tempo in cui, nella seconda metà degli anni cinquanta, dalla città della lanterna ci si recava sovente in Argentina, specie a Buenos Aires. Non è un caso che la squadra di calcio, titolatissima del Boca Juniors, deve il suo nome al quartiere genovese di Boccadasse.

Proprio dalla capitale azulblanca, è di ritorno Eugenio Devoto, il primo amore di Amalia, la figlia di Felice. Lì ha fatto carriera, lì sotto l’egida ambiziosa di Manuel Aguirre, si è fatto un nome ed è tornato in Liguria per convolare a nozzecon la figlia di quel misantropo del signor Pastorino.

Si intravvede Villaggio e il suo Fantozzi. Ma si scorge anche quel via vai di individui tristallegri che fuoriescono nelle vicende teatrali di Maurizio Lastrico.

Pignasecca è contro ogni tipo di sperpero. Annacqua persino il vino per non darne via , in eccesso, agli ospiti.

Pignasecca e Pignaverde, sono due prototipi del non dare nulla a nessuno. Del nascondere tutto per sé. Ma sono due figure a perdere, perdenti già nei nomignoli parlanti: una pigna secca non da’ pinoli. Così come è ancora troppo acerba una pigna verde. 

Quello che invece non risulta né gia’ secco ne’ ancora acerbo, è l’estensione comica di questo serissimo giullare che risponde al nome di Tullio Solenghi. Lui ed il suo teatro si, una manciata di pinoli maturi e gustosi, al punto giusto. Altro, che Pignasecca e Pignaverde…

Luca Savarese

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