
Per la sua prima regia teatrale Ferzan Ozpetek ha scelto di puntare su uno dei suoi gioielli cinematografici, l’apprezzatissimo e pluripremiato “Mine vaganti” uscito nelle sale nel 2010. Una storia che racconta il coming out in famiglia di due fratelli e che, nonostante i passi avanti fatti, su tutti il riconoscimento delle unioni civili, rimane più che mai attuale anche a distanza di dodici anni.
La scelta, apertamente dichiarata dal regista stesso, è stata quella di rendere la pièce il più possibile vivace e piena di ritmo per non rischiare di annoiare lo spettatore in sala. Rispetto alla pellicola quindi si cerca di puntare maggiormente sul lato divertente della commedia e per farlo non si poteva non puntare sulla grande simpatia di Francesco Pannofino chiamato a interpretare il capo famiglia Vincenzo Cantone, ruolo che al cinema fu del maestro Ennio Fantastichini. Pannofino mette un pizzico di Renè Ferretti nella sua interpretazione per creare un padre focoso e scoppiettante. L’uomo guida il pastificio di famiglia in un paese del Sud (più tendente alla Campania che alla Puglia) insieme al figlio maggiore Antonio interpretato da Carmine Recano. Il ruolo del fratello minore Tommaso è invece affidato a Erasmo Genzini e dalla platea si può notare un richiamo alla fisionomia di Riccardo Scamarcio.
Il testo è molto fedele al film con una scenografia, curata da Luigi Ferrigno, che si muove attraverso dei tendoni mobili. La musica, interviene poco ma quando lo fa è protagonista con un “Grande grande grande” in napoletano, l’immancabile scena corale di “Una notte a Napoli” e la scena in cui praticamente l’intero Teatro Manzoni si trasforma in discoteca.
Seguire la storia originale con qualche piccolo accorgimento per rendere lo spettacolo più godibile a teatro è stata decisamente vincente. Stravolgere un lavoro perfetto sarebbe stato rischioso, l’adattamento teatrale invece convince a pieno e riscuote l’apprezzamento del pubblico in sala. “Mine vaganti” è un racconto di formazione, non di un singolo personaggio, ma di un’intera famiglia. A casa Cantone la nuora da del voi alla suocera, ma è proprio questa signora anziana, interpretata da Simona Marchini, la mina vagante che guida l’evoluzione della sua famiglia. Forse l’unica pecca dell’adattamento teatrale sta nella difficoltà di evidenziare la fondamentale scena della nonna coi dolci, un momento che ovviamente la telecamera ha saputo far risaltare più facilmente. È quello l’unico punto in cui chi non ha visto il film potrebbe non comprendere pienamente ciò che sta accadendo.
Erasmo Genzini e Francesco Pannofino si spalleggiano bene nelle scene in coppia che sfociano anche in mezzo a una platea trasformata nella piazza del paese che nella testa di Vincenzo mormora e ride alle spalle di quella famiglia con un figlio omosessuale. Al giovane attore va anche il compito di narratore ed è bravo a far emergere la sensibilità del suo Tommaso. Iaia Forte porta sul palco una madre chiamata a fare da mediatore tra i figli e il padre. Molto divertente Mimma Lovoi come cameriera pronta a trasformarsi in cubista trascinata da Francesco Maggi ed Edoardo Purgatori.
Uno spettacolo sicuramente piacevole anche per chi non ha visto il film e che rende onore alla sua versione originale.
Ivan Filannino
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